La zona grigia di case e cantine per la preghiera
La linea delle comunità: avanti con il dialogo «Il Viminale è più conciliante con Al Jazeera»
Nella Casa della cultura musulmana di via Padova 144, da anni, da anni, la preghiera si svolge a turni, perché non c’è abbastanza spazio. I responsabili: «Non possiamo fare in altro modo fino a che non avremo un luogo adatto, ma non è più accettabile. Né per i fedeli musulmani, né per la città di Milano».
Il termine più corretto è musalla. Solo che non lo usa mai nessuno. Almeno, non lo usa nessuno tra i politici che si occupano (o semplicemente parlano) di luoghi di culto musulmani. Musalla, in arabo, secondo uno studio di qualche anno fa, indica «semplici sale di preghiera, spesso di dimensioni ridotte, localizzate di solito in spazi originariamente destinati ad altre funzioni (appartamenti, magazzini, negozi, capannoni), che svolgono funzioni di luogo di preghiera a scala di quartiere». Iniziare a usare il termine corretto sarebbe un passo avanti: perché a Milano parlare di moschee riconosciute non ha senso (ne esistono solo due, quella di Segrate e quella di via Meda); la maggior parte dei circa 15 luoghi di preghiera in città sono musalla (dunque esistenti, frequentati, conosciuti dalle autorità, ma non formalmente riconosciuti), o istituti culturali nei quali si svolge anche la preghiera (come è avvenuto per decenni in viale Jenner). Parlare di «nuovi luoghi di culto» pone dunque la questione in un’ottica se non scorretta, di certo fuorviante: perché il vero tema in cui si inquadrano nuovi edifici per il culto islamico è solo una parte della cornice più ampia. E cioè: come gestire le moschee «informali» che già esistono e sono frequentate da decenni.
Le dichiarazioni del ministro Matteo Salvini arrivano tra l’altro alla vigilia della festa del sacrificio, che le comunità islamiche milanesi celebreranno questa mattina all’Arena e nelle altre «moschee» nei quartieri. Omar Jibril, coordinatore del Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Brianza), ha ascoltato le parole del ministro e commenta: «Credo che da una parte Salvini sia ancora in campagna elettorale, dall’altra è troppo presto per esprimere un giudizio nel merito sul suo lavoro. Devo anche notare che con i media internazionali, ad esempio in una recente intervista con Al Jazeera, ha usato toni molto più concilianti verso l’islam rispetto a quelli che usa invece in Italia».
La creazione di nuove moschee, piano a cui potrebbero partecipare a Milano soltanto comunità già censite, riconosciute e da anni in rapporto con il Comune, è legata da una parte al piano di Palazzo Marino, dall’altra alla legge regionale (tre anni fa definita «anti-moschee») che fissa criteri e principi molto stretti. Spiega Jibril: «Con la Regione stiamo lavorando, in maniera seria, e sono fiducioso su questo lavoro». Per la maggior parte dei rappresentanti delle comunità milanesi il tema moschee è legato alla libertà di culto garantita dalla Costituzione. Ma anche a questioni, in qualche modo, di rispetto degli individui e di decoro urbano. Mahmoud Asfa, giordano, ambrogino d’oro nel 2009, presidente della Casa della cultura musulmana di via Padova 144, da anni spiega: «Siamo forse l’unico luogo di culto al mondo nel quale la preghiera si svolge a turni, perché non abbiamo abbastanza spazio. Avviene ormai da anni, non possiamo fare in altro modo fino a che non avremo un luogo adatto, ma non credo sia più accettabile. Né per i fedeli musulmani, né per la città di Milano».
In questi anni la ricerca di un luogo dove riunirsi in preghiera
L’allarme nei quartieri Proteste in viale Jenner dopo le risse in strada Lite sul laboratorio illegale in via Cosenza
ha molte volte creato frizione con la cittadinanza. Le recenti risse tracimate in strada in viale Jenner hanno rialzato l’allarme soprattutto nei residenti del palazzo a fianco a quello dove è ospitato il centro culturale. Così come in Via Cosenza, quartiere Calvairate, da due anni sta tenendo banco la vicenda legata all’associazione Sri Lanka islamic welfare center. Nata secondo lo statuto per svolgere attività socio culturali e per l’aiuto nel rimpatrio delle salme dei connazionali, presto ha iniziato a ospitare le preghiere dei fedeli. È stata ingaggiata anche una battaglia legale al Tar con il comune di Milano per il ripristino dei locali del laboratorio dove ha sede l’associazione.