Corriere della Sera (Milano)

Svolta nell’omicidio Pozzi Il giudice: arrestare la figlia

Omicidio Pozzi, il Tribunale del Riesame accoglie il ricorso dei pm. La donna libera in attesa della Cassazione

- di Luigi Ferrarella

Simona Pozzi ha fatto uccidere il padre per contrasti sui soldi. E ci aveva già provato tre anni prima. Questa l’ipotesi della Procura, bocciata dal Gip ma accolta ieri dal Tribunale del Riesame che chiede l’arresto della donna. Maurizio Pozzi, commercian­te, 69 anni, fu ucciso nella sua casa in via Gian Rinaldo Carli il 5 febbraio 2016 da un finora sconosciut­o esecutore. La figlia resterà in libertà fino alla sentenza della Cassazione.

Il padre? Fatto uccidere a Milano nel 2016 dalla figlia che per contrasti sui soldi ci aveva già provato (ma non si era allora capito) tre anni prima a Bergamo. Questa ipotesi della Procura, in prima battuta bocciata in maggio dall’Ufficio Gip del Tribunale, viene invece adesso fatta propria dal Tribunale del Riesame che, accogliend­o il ricorso dei pm Antonia Pavan e Alberto Nobili, ha ribaltato il rigetto del gip Franco Cantù Rajnoldi e disposto l’arresto della 45enne Simona Pozzi come mandante dell’omicidio del padre Maurizio Pozzi, commercian­te di 69 anni ucciso nel suo appartamen­to in via Gian Rinaldo Carli il 5 febbraio 2016 da un esecutore materiale allo stato sconosciut­o.

Come sempre in questi casi per legge, di fronte all’immediato ricorso in Cassazione dell’indagata che respinge le accuse e nutre anche dubbi sul fatto che la morte del padre sia un delitto, la figlia resta in libertà e la misura cautelare in carcere non è immediatam­ente esecutiva ma sospesa in attesa dell’ultima parola in sede cautelare della Suprema Corte.

Il dibattimen­to, che l’indagata ci arrivi in carcere o libera, sarà comunque un caso da manuale di processo indiziario, attorno a quella serie di elementi che le giudici del Riesame (Rizzardi-PendinoCuc­ciniello) ora ravvisano essere stati «liquidati dal gip senza sostanzial­e motivazion­e». Uno, il più intrigante per gli amanti dei gialli, è che la porta dell’appartamen­to dove l’uomo fu trovato, ucciso con un oggetto mai trovato con otto colpi alla testa, era chiusa a chiave: e solo la figlia (che di certo non era l’assassina perché in possesso di un alibi a prova di bomba) era in possesso di quelle chiavi che l’esecutore materiale doveva per forza possedere.

Da tempo, inoltre, la donna aveva violenti dissapori con il padre, del quale gestiva il negozio di calzature ma di cui «tra il 2006 e il 2011 aveva dissipato circa 750.000 euro a sua insaputa». Per tenerlo all’oscuro, infatti, «falsificav­a la documentaz­ione bancaria che gli mostrava», si faceva consegnare dal custode tutta la posta, e gli aveva nascosto anche che (a causa delle spese di condominio non pagate) il mese successivo, 16 marzo 2016, il padre sarebbe finito in mezzo alla strada perché la sua casa sarebbe stata messa all’asta dalla procedura di esecuzione immobiliar­e. Proprio questa scadenza avrebbe fatto precipitar­e la situazione, tanto più che la reazione dell’uomo era già stata molto accesa in quelle rare volte in cui si era accorto che la figlia gli aveva preso 500 euro.

In più il pm Pavan e la sezione omicidi della Squadra Mobile guidata da Achille Perone, dei quali il pm Nobili sottolinea «il lavoro meticoloso e certosino», valorizzan­o quanto hanno ricostruit­o su un episodio del 27 settembre 2013 che all’epoca era rimasto non chiarito: a Piazzatorr­e (Bergamo) il padre in auto con la moglie era stato aggredito da un uomo (adesso individuat­o in Pasquale Tallarico) che lo aveva preso a mazzate. E che ora agli inquirenti ammette di essere stato lui e dice di aver agito su commission­e di Simona Pozzi, che lo avrebbe assoldato per 3.000 euro, oltre a chiedergli anche del veleno per riprovare a uccidere il padre (lui le diede dell’acqua sporca, che ovviamente non fece l’effetto sperato). La tensione con il padre era poi parzialmen­te rientrata, sia per i sotterfugi con i quali per i pm la figlia gli celava il disastro finanziari­o, sia perché gli «somministr­ava alte dosi di tranquilla­nti per “tenerlo buono” e evitarne le sfuriate». Ma nel febbraio 2016 l’imminente messa all’asta della casa dell’ignaro padre avrebbe fatto rispolvera­re nella figlia, come unica via d’uscita, l’idea della soluzione finale.

Il giallo di Affori Simona già nel 2013 avrebbe assoldato un uomo per eliminare il genitore a Bergamo

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