Corriere della Sera (Milano)

Itinerari urbani

Tra le pietre del Giardino dei Giusti in compagnia di Roberto Jarach «La mia oasi fin dall’adolescenz­a»

- di Marta Ghezzi a pagina 15

Come oasi estiva indica il giardino dei Giusti, al monte Stella. Quasi una scelta obbligata per Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoa ed ex presidente della Comunità ebraica milanese (sette anni alla guida della Comunità, trentotto nel Consiglio, «un dinosauro», scherza lui). L’ingegnere, sornione, non scopre subito le sue carte. Attacca, in silenzio, il sentierino che conduce alle lapidi, e solo verso la fine rivela che la montagnett­a costruita sulle macerie è per lui anche un luogo di memoria strettamen­te personale, legato all’adolescenz­a. «Correvo qui per staccare dallo studio, credo di aver iniziato a frequentar­la durante le medie», dice. E racconta del lungo giro in bicicletta («Ripetitivo, sempre lo stesso percorso, mi piaceva così») che si concludeva allo Stella. Partenza dalla villa di famiglia, in via Telesio, dove abitava negli anni 50, corsa attraverso i giardini di via Pallavicin­o («Ho fatto in tempo a vedere il Gamba de legn, il trenino con la locomotiva a vapore»), e da lì stacco veloce fino alla montagnett­a. «Che all’epoca non c’era, sarà stata alta quattro metri, neanche un filo d’erba, solo detriti. L’ho vista crescere». Lo sguardo al giardino è d’affetto. «Oramai non salgo più fino in cima, però mi è capitato qualche anno fa di portarci un nipote, con la scusa di provare il teleobiett­ivo di una macchina fotografic­a. Lui, dodicenne, è rimasto a bocca aperta: lo stadio di San Siro così vicino che sembrava di toccarlo, la prospettiv­a della città dall’alto».

Gira fra le lapidi che ricordano i Giusti, uomini e donne che si opposero ai genocidi e ai crimini contro l’umanità. «È stato inaugurato nel 2003, allora ero ancora presidente della Comunità. Ricordo che quel giorno mi sono sentito chiamare a gran voce, mi sono girato e davanti a me c’era don Giovanni Barbaresch­i, il prof di religione del mio liceo, il classico Manzoni. Io ero esonerato, ma lui ricordava perfino la posizione del mio banco!» (anche a Barbaresch­i, che ha aiutato ebrei, antifascis­ti e prigionier­i alleati a raggiunger­e la salvezza in Svizzera, sono dedicati un albero e un cippo, ndr). Il discorso, e non poteva essere altrimenti, conduce dritto al Memoriale. Jarach confessa dettagli nascosti. «Mancavano i fondi, chiedemmo aiuto alla Fondazione Safra, a Ginevra», spiega. «Fu solo nel tunnel del Monte Bianco, a poche ore dall’appuntamen­to, che ci rendemmo conto che stavamo andando a mani vuote, senza niente da offrire. Ricordammo che il banchiere e filantropo Edmond Safra aveva vissuto a Milano per due anni, dal ’51 al ’53. E allora ecco l’idea: intitolarg­li la piazza, ancora priva di nome, davanti al futuro Memoriale. Il seguito», ironizza, «ha il sapore di un film di Totò. Chiamammo Letizia Moratti, allora sindaco, per chiederle se si poteva fare. Lei ci chiese se la piazza avesse numeri civici, perché altrimenti sarebbe stato un problema. Per fortuna, venne fuori che l’unico numero civico sarebbe stato proprio quello del Memoriale. E l’operazione andò in porto».

 Questo giardino ricorda uomini e donne che si opposero ai crimini contro l’umanità ed è stato inaugurato nel 2003, quando ero presidente della Comunità ebraica

Il Monte Stella è legato alla mia adolescenz­a, ci venivo in bicicletta per staccare dallo studio. Allora la montagnett­a sarà stata alta quattro metri, senza erba. L’ho vista crescere

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(foto Furlan/ LaPresse) Ingegnere Roberto Jarach, 74 anni

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