Stop alla moschea abusiva Scatta il sit-in di preghiera
Il sindaco pd di Melegnano: area inquinata, è la legge
Il nocciolo della questione sta nella domanda innocente di un bambino — avrà al massimo dieci anni — rivolta ai giornalisti: «Perché devo pregare in strada?». La strada dietro di lui è occupata da centinaia di fedeli musulmani assorti nella preghiera del venerdì che, fino a settimana scorsa, a Melegnano, si teneva nel capannone di via Morandi, nella zona industriale. Un anonimo fabbricato che negli anni, da queste parti, è stato ribattezzato la «moschea fantasma». Il piccolo non sa che, dietro a quello stabile, sede dell’associazione Al Baraka, si combatte da anni una battaglia a colpi di ordinanze, ricorsi, esposti, carte bollate. E nemmeno sa che da ieri, l’ordinanza comunale che vieta l’uso dell’immobile come luogo di culto, è diventata esecutiva. Niente più raduni religiosi, per motivi di carattere «sanitario», e quindi preghiera in strada, ieri, da parte degli islamici. Tra le auto posteggiate, il traffico e il cancello sbarrato del magazzino. Un gesto simbolico per una comunità che è riferimento per centinaia di praticanti sparsi in tutto il quadrante Sud di Milano, che ha ricordato ad alcuni la preghiera collettiva che gli islamici avevano organizzato anni fa nel cuore di Milano, sul sagrato del Duomo.
Il motivo dell’impedimento, essenzialmente, va ricondotto alla posizione stessa dello stabile, che sorge nell’area di un ex impianto industriale chimico, un sito inquinato di rilevanza regionale. Motivo per cui, in caso di assembramenti numerosi, non sarebbero garantite le condizioni di sicurezza delle persone, soprattutto le fasce più fragili (donne, anziani e bambini).
La querelle è partita nel settembre 2014, quando gli uffici tecnici del municipio hanno negato il cambio di destinazione d’uso da produttivo, a culturale-religioso. La ordinanza è della precedente amministrazione, rappresentata da una giunta di centrodestra, a forte impronta leghista. Un atto impugnato dagli islamici davanti al Tar, che però ha dato loro torto nel 2016, con sentenza passata in giudicato. Nel 2017 è subentrata la giunta guidata dal sindaco Rodolfo Bertoli, del Partito democratico, che ha confermato il diniego. «Su quell’area ci sono problemi di carattere sanitario, c’è una sentenza definitiva e una serie di vincoli normativi — ha spiegato il primo cittadino dem — che dobbiamo fare rispettare a tutti. E per tutti intendo: musulmani, cristiani, ebrei... Senza distinzioni».
La situazione avrebbe potuto essere sanata apportando forse delle migliorie al sistema di areazione, ma assicurano dal Comune, «gli ostacoli non sono stati superati». Cosa non vera, secondo Kais Mokrani, presidente dell’associazione religiosa Al Baraka: «Ho presentato un progetto in Comune che non è neppure stato preso in considerazione. Usano il pretesto dell’inquinamento ambientale ma in quell’area ci sono imprese, bar molto frequentati, persino abitazioni. Lo dico chiaramente: la comunità islamica è offesa. L’Italia è anche il nostro Paese, e ne rispettiamo le leggi, ma abbiamo diritto come tutti a un luogo di culto. Non siamo un mondo chiuso, siamo aperti al dialogo, col Comune e con chiunque. E poi, ora, io come lo spiego ai bambini che il centro è chiuso?».