Solo «Sincopi» a fin di bene
Antonio Ballista tra pagine di Couperin, Joplin e Gershwin per MiTo «La musica si divide in due categorie: bella e brutta, il resto non conta»
La sincope non lo preoccupa. Anzi gli piace, la cerca, la insegue senza tregua. «La sincope musicale, naturalmente», precisa sorridendo Antonio Ballista, 82enne mago del pianoforte, musicista colto, ironico, epicureo. Nel senso che tutto ama, tutto accoglie, tutto reinterpreta con estrosa sapienza e indomita fantasia. Senza preconcetti nè frontiere. «La musica si divide solo in due categorie, bella e brutta. O per dirla con Lenny Bernstein, musica scritta e non scritta. Tutto il resto, la catalogazione, la divisione in generi, serve solo per le enciclopedie». La prova? “A volte una bella canzone vale più di una noiosa sinfonia.
Onnivoro e curioso, Ballista, assieme all’amico e complice Bruno Canino, da oltre 60 anni percorre i sentieri di mondi tra i più disparati, dalla classica al jazz, dal rock, dall’etnica alla lirica. E il Novecento musicale, vera passione e campo di ricerca del duo più longevo e versatile della tastiera, omaggiato con brani scritti proprio per loro, da compositori quali Berio e Stockhausen, Ligeti, Bussotti, Battiato.
Ma stasera Ballista si esibirà da solo. Alle 21, allo Spazio Teatro 89 sotto l’egida di MiTo, affronterà un programma dal titolo un po’ allarmante di «Sincopi». Sussulti in musica ideali per dar la scossa a mani e piedi e far venir voglia di ballare. «Ritmo tipico del jazz e dello swing, la sincope è fecondissima, tante e sorprendenti sono le sue vite», avverte il pianista milanese, diplomato al Conservatorio Verdi.
E allora, partendo da una sua lontana incarnazione settecentesca, «Les Barricades Mystérieuses» di Couperin si passerà all’Allegro con brio della Sonata n.3 di Beethoven e da lì, con un salto di quasi un secolo, ecco il Ragtime sincopato di Scott Joplin: «che non era ancora jazz ma senza il quale il jazz non sarebbe nato». E di Joplin suonerà anche «The Entertainer», la colonna sonora della «Stangata» per intenderci. «Il ragtime classico del West, dei saloon, suonato senza tema tra risse e revolverate. Con il cartello che avvertiva: “Non sparate sul pianista”».
Seguiranno i «rag» di Lionel Hampton e di Artie Matthews. E poi «Grandpa’s Spell» di Jelly Roll Morton «Che sul biglietto da visita aveva scritto “inventore del jazz” ma non era vero. Un gran millantatore».
Una sincope dopo l’altra e si arriva al Novecento storico di Debussy e Gershwin, Milhaud e Stravinskij. Implacabile la sincope di Hindemith: «Uno schiacciasassi che tutto travolge. Le istruzioni per l’uso in partitura sono molto singolari: nessun riguardo per le regole della musica, nessun riguardo per il piano. Macabra la sincope di Ravel 2153 note a campana per indicare l’oscillazione del corpo di un impiccato, traboccante echi folk americani quello di Copland.
E dopo quegli anni ruggenti, che ne è stato della sincope? «È finita vittima della rivoluzione atonale, decapitata insieme con l’armonia e la melodia. Ma poi è risorta grazie al rock e al pop. Le canzoni dei Beatles sono il sommo esempio della sua gloriosa rinascita».