Domenica dolce come un babà Alle Stelline i maestri pasticcieri danno lezione per «Sweety»
Alle Stelline 25 maestri pasticcieri si sfidano per «Sweety of Milano» Knam: «Il dessert è il piatto più importante di una cena, deve gratificare»
Diceva il grande pasticciere Gaston Lenôtre: «La pasticceria è il miglior allenamento per gli chef: abitua alla precisione e alla perfezione». Il consiglio è più che mai valido oggi che è nata la figura del pastry chef (cuoco pasticciere, per chi difende la lingua italiana), protagonista di Sweety of Milano al Palazzo delle Stelline. I gourmet, da sempre, amano abbinare cibo e vino. Ora si fa con il dessert: si chiama pastry pairing, nasce da un’intuizione del pasticciere Nicolò Moschella. Un esempio? Il bartender Christian Lodi ha inventato Sweet Meet a base di limoncetta, Amaro Lucano, whisky, lime, albume e polvere di agrumi. Sarà abbinato alla mignon Quadrotto, mousse di cioccolato al latte con cuore di marmellata all’arancia e base di pan di Spagna bagnato al Grand Marnier.
Tanti i pasticcieri coinvolti, tra masterclass e area vendita: da Iginio Massari a Sal De Riso, da Ernst Knam a Luigi Biasetto, Alfonso Pepe, Gino Fabbri, Stefano Laghi, Gianluca Fusto e Omar Busi, per citarne alcuni. Quattro le donne: Anna Sartori di Erba, Francesca Castignani di Tarquinia, Stella Ricci e Carmen Vecchione di Avellino. Sweety è una kermesse amata dai golosi e da chi vuole capire la grande pasticceria. Raddoppiano le degustazioni gratuite, guidate dai pasticcieri. Oltre ai 25 cooking show dal vivo, ecco la Sweet Baby, scuola di pasticceria (gratuita) per bambini. Non è più una curiosità, ma un vero comparto, lo spazio dedicato alle intolleranze alimentari e al mondo vegano. La tendenza 2018? Pasticceria sotto vetro. Uno dei primi a inventarla è stato il padovano Denis Dianin, con il panettone in vasocottura, presentato a Sweety nel 2015. Da allora il dolce in barattolo è in grande crescita. Il vetro permette di godersi i dessert nelle loro stratificazioni, esalta le consistenze e protegge. Esempi, la Trasparenza di castagne di Carmen Vecchione, ispirato al Montblanc; Zabaione in vasetto, di Paolo Sacchetti; il cake alla mandorla con gelatina alle mele e rosa, profumo di ginepro e limone di Luca Mannori. Anche lo chef Giancarlo Perbellini, da poco a Milano con la sua Locanda, ha messo in barattolo la Meringata, l’ha chiamata 1.8 e aggiunto la fava Tonka. E i frutti rossi, per dare il tocco di acidità fondamentale in ogni dessert. Ma perché il barattolo? Risponde Perbellini.«È un contenitore da asporto, rende moderno un dolce tradizionale». Non si esageri con le rivisitazioni dei classici, dice Maurizio «Black» Santin. «I dolci devono essere semplicemente buoni, golosi, belli da vedere». Salvatore De Riso arriva a Sweety dalla Costiera Amalfitana. Dice: «Chi viene da me si aspetta i grandi classici: babà, sfogliatella, pastiera napoletana. Io li accontento. Poi lavoro a qualcosa di nuovo, non bisogna mai adagiarsi». Il gusto dolce impazza a Milano, ma nei ristoranti medi i dessert sono spesso banali, mal preparati. Ammonisce Ernst Knam: «Il dessert è il piatto più importante di una cena, deve gratificare, lasciare un bel ricordo. Il 50% dei cuochi stellati nasce come pasticciere. Un grande pasticciere può diventare uno chef formidabile, ma non il contrario».