I maestri e Margherita
Sironi, De Chirico, Bucci, Funi, Casorati Invitati eccellenti al Museo del Novecento per la mostra sul mondo della Sarfatti femminista, critica d’arte e «talent scout»
«Per quale ragione la pittura italiana, sola tra quelle dell’età moderna, anche rappresentando uomini e cose della vita quotidiana, conferisce loro un alone di realtà immateriale che le trasfigura? (…) Prima di essere un uomo in piedi, una donna piangente, un albero o un vaso di frutta, queste immagini corpose sono ragioni e motivo di ritmo nello spazio. (…) Dal moderno si risale all’eterno e dal casuale al definitivo». La voce è quella di Margherita Sarfatti, di ricca famiglia ebraica, giornalista e scrittrice, socialista e femminista, amante di Mussolini, critica d’arte e scopritrice di talenti: con queste parole descrive lo stile del primo Dopoguerra in Italia, lo stile del movimento artistico «Novecento» che lei stessa incoraggia e fonda partendo proprio dalla nostra città. Una figura chiave della cultura figurativa dell’epoca, intellettuale, audace, controversa, al cuore della mostra «Margherita Sarfatti. Segni, luci e colori a Milano» che inaugura oggi al Museo del Novecento. Curata da Anna Maria Montaldo e Danka Giacon con Antonello Negri, la rassegna segue la carriera di Margherita (Venezia 1883 – Cavallasca 1961) tra 1902, anno del suo arrivo a Milano, fino all’esilio dall’Italia a metà anni Trenta, appena in tempo per sfuggire alle leggi razziali.
Il percorso — con allestimento di Mario Bellini — si dipana attraverso 11 sale e 90 dipinti e sculture, molti pezzi eccellenti dei «suoi» autori prediletti come Bucci, Carrà, Casorati, de Chirico, Funi, Sironi. Al tempo stesso viene proposto un quadro dell’ambiente milanese all’inizio del ‘900, dove le opere sono contestualizzate grazie a foto, lettere e documenti — dall’Archivio Gianferrari donato al Museo — e ancora abiti d’epoca, arredi e opere grafiche delle Civiche Raccolte. «Tra gli obiettivi c’è l’idea di far conoscere il patrimonio artistico e storico del Comune attraverso pezzi poco noti, a volte conservati nei depositi», spiegano i curatori. «Pezzi acquisiti e scelti allora, proprio negli anni in cui il gusto di Margherita dettava legge a Milano per ragioni estetiche e anche politiche». A introdurre l’itinerario c’è la sognante testina in cui Adolfo Wildt ritrae la musa dell’arte Margherita, rappresentata anche da altri autori. Poi ci si immerge nella «città che sale», nella Milano del primo ‘900 descritta in capolavori come «Crepuscolo» di Boccioni o «L’addio» di Bucci, tra Divisionismo e Futurismo. Presto però Sarfatti intuisce la nuova tendenza del «ritorno all’ordine» e coagula intorno a sé nuovi artisti dando loro un’identità e un nome, «Novecento»: la prima mostra alla galleria Pesaro nel 1922, poi esposizioni sempre più ampie come quella del 1929 alla Permanente, di dimensione nazionale, di cui i curatori danno conto con pezzi esemplari. Si chiude con l’allontanamento di Margherita, che pur nell’adesione al regime non concepisce l’arte come subalterna alla politica: si è affermata la retorica di una dittatura che non ha più spazio per donne coraggiose e per artisti indipendenti.