Forma Meravigli
Giacomelli, il paesaggio come riflessione
Dopo qualche mese di interruzione Forma Meravigli riapre al pubblico con una mostra classica e struggente: «Mario Giacomelli: da un caos all’altro. Paesaggi e fotografie astratte» (vernice ore 18.30, fino al 18 novembre, ingresso libero). Giacomelli (1925-2000) aveva cominciato fin dagli inizi della sua pratica fotografica, negli anni Cinquanta, ad analizzare e a fotografare il paesaggio marchigiano dando alle sue indagini titoli sempre diversi. Solo nel 1977 trova la conclusiva definizione: «Presa di coscienza sulla natura». E nel suo studio di Senigallia, sulle pareti costellate di foto, di appunti, di scritte fatte sull’intonaco con il pennarello, si leggeva: «Paesaggi non / come luogo / ma come / riflessione interiore». Il temine «paesaggio» non induca in errore: nulla accomuna il racconto del territorio lavorato, ferito, graffiato, di Giacomelli alle esperienze di altri autori che al paesaggio, negli stessi anni, cominciavano a dedicarsi. La sua visione dall’alto registra le geometrie dei campi lavorati secondo le sue stesse indicazioni, trasforma in una sorta di campitura grafica di aspri bianchi e neri un paesaggio che in natura si presenta ben diverso. Registra, ma soprattutto interpreta, trasfigura, attraverso la dolorosa poesia delle sue esperienze, che informano sempre e comunque ogni suo gesto fotografico. «Io riprendo le cose della terra da cui sono venuto e a cui penso ritornerò», ha scritto. Il paesaggio parla, ma parla anche la tua anima con un linguaggio muto. Io so che sono di terra e alla terra ritornerò. Di tutte queste cose io sono consapevole, ma quando fotografo non ci ragiono sopra, lo fanno gli altri per me. I miei occhi vedono e la mia anima registra, seleziona quello che mi sta di fronte”. Ed è questo che rende coerente, quasi consequenziale, l’accostamento in mostra di due storie diverse: i paesaggi e le immagini più astratte, figlie anch’esse della stessa poesia e dello stesso tormento.