Sveva Casati Modignani «infiltrata speciale» nel mondo della fabbrica
Scrittori Per il suo ultimo lavoro Sveva Casati Modignani è andata a lezione da Maurizio Landini
Anche se si allontana sempre con riluttanza dalla sua casa-rifugio di Crescenzago, dove è nata e dove già viveva sua nonna, quando la signora Bice Cairati indossa i panni di Sveva Casati Modignani parte sempre per viaggi in altri mondi, che poi racconta in libri che hanno venduto una dozzina di milioni di copie e sono stati tradotti in venti lingue. Dalla sua piccola macchina da scrivere rossa nascono storie d’amore, sì, ma sempre con un tema d’attualità sullo fondo. In «Suite 405», il nuovo romanzo, l’intreccio di sentimenti, virtù e debolezze umane gravita attorno al mondo della fabbrica. Si parla (anche) di lavoro, insomma. E per farlo al meglio, l’autrice ha scelto il percorso del più scrupoloso e umile dei cronisti: è andata prima a «lezioni private» dal segretario della Cgil Maurizio Landini e poi si è accodata alla Fiom milanese e ha partecipato ad assemblee e riunioni sindacali dei metalmeccanici. Come è stato l’incontro con un simbolo del sindacalismo di lotta come Maurizio Landini?
«Gradevole e istruttivo. Dal momento che la sua agenda era molto complicata, il momento giusto è arrivato in estate, quando — come ogni anno — è andato in vacanza con la moglie in Romagna. Mi ha proposto di raggiungerlo e lì abbiamo trascorso giornate intere a parlare. Lui è anche molto simpatico, ma soprattutto mi ha spiegato con grande pazienza l’evoluzione della fabbrica che dall’epoca del vapore è approdata all’attuale fase cosiddetta 4.0, una nuova rivoluzione che richiede grandi investimenti nella formazione dei lavoratori».
E Giovanni Rancati, il sindacalista del libro, è ispirato a Landini?
«Sì, quantomeno nello spirito con cui interpreta la propria missione. Ma nel romanzo sono entrati necessariamente altri elementi. E devo ringraziare molto anche Roberta Turi, la segretaria della Fiom di Milano, che mi ha guidato nel mondo della fab- brica, delle assemblee e delle riunioni sindacali».
Che impressione ne ha ricavato?
«Mi ha colpito la grande serietà. Li ho visti mentre ascoltavano in silenzio le relazioni dei sindacalisti, commentare a bassa voce alla fine e poi intervenire uno dopo l’altro con domande e affermazioni sempre nel merito. E nove volte su dieci il tema che sollevavano era la sicurezza sul lavoro».
Insomma, ha trovato un ambiente interessante?
«Altroché. In fabbrica ho conosciuto un mondo bellissimo, del quale all’esterno non c’è consapevolezza. E ho avuto incontrato persone che sanno usare la testa. Perché la cultura non appartiene alla gente che ha studiato ma alla gente che ha capito».
Nel romanzo c’è anche la figura di un imprenditore illuminato. Ma lei trova che a Milano, sia ancora riconosciuto il valore del lavoro?
«Mi spiace dover dire di no. Non si reagisce alla crisi tagliando rami, ma al contrario investendo. E poi certe forme contrattuali sono davvero un’umiliazione per lavoratori che dovrebbero essere considerati come professionisti». Lei è molto appassionata ai temi che esplora, ma nei suoi libri privilegia le vicende emotive dei protagonisti. Perché?
«Perché narrare significa innanzitutto affabulare, e io cerco di catturare e coinvolgere il lettore, al quale trasmetto poi anche tutti gli altri elementi. Faceva così mia nonna quando, qui, nel giardino di questa casa, apriva il Corriere sulla “pagina delle disgrazie” e le commentava per me».
Infiltrata
In fabbrica ho conosciuto un mondo bellissimo del quale all’esterno non c’è consapevolezza