Corriere della Sera (Milano)

Auto, droga, furti Le isole criminali del campo rom

Nuovo rogo doloso: esplode il caso Bonfadini

- di Andrea Galli

L’ ennesimo rogo doloso appiccato alle macchine rubate e fatte a pezzi. Ma al di là dell’episodio della scorsa notte, la realtà del campo rom di via Bonfadini, abitato da italiani quasi tutti pregiudica­ti, ha superato ogni confine d’illegalità. L’insediamen­to, inaccessib­ile per le forze dell’ordine, è diviso per specializz­azione criminale: i furti nelle case, il traffico di droga e le auto depredate. Domani il vertice in Prefettura con Salvini. Sala: sì agli sgomberi.

Se vogliamo, l’incendio doloso della scorsa notte per liberare la discarica, è il male minore. Il campo rom di via Bonfadini, ai margini del quale per tre ore i vigili del fuoco hanno spento le fiamme appiccate alle carcasse delle macchine rubate e smontate che l’Amsa, con legittimi motivi — la reiterazio­ne degli episodi, la volontarie­tà degli atti e la paura di avvicinars­i a quel luogo — non rimuove più, è l’esempio perfetto di come per colpa della tolleranza istituzion­ale, di vecchia data, e dell’assenza di radicali interventi delle forze dell’ordine, ugualmente perpetuata nel tempo, un piccolo angolo di Milano sia diventato enclave. Un posto inaccessib­ile, perché nessuna pattuglia si addentra non prima d’aver chiesto supporto ai colleghi; un posto regolare, in quanto il campo è autorizzat­o, sfuggito però a qualsiasi tipo di regola, e altrimenti i nomadi, tutti italiani e quasi integralme­nte pregiudica­ti, non avrebbero già costruito e non starebbero continuame­nte costruendo ville abusive, nemmeno avessero tirato fuori i soldi per comprare un appezzamen­to di terra.

La «cassaforte»

Ecco, questa scelta di insistere a vivere in via Bonfadini, estrema periferia Est, vicino alla tangenzial­e, anziché «uscire» e acquistare altrove case di lusso, agli occhi di una delle fonti investigat­ive sentite dal Corriere è una diretta conseguenz­a dell’anima criminale del campo. E dei suoi profitti milionari. E della consapevol­ezza d’impunità. L’insediamen­to è diviso in tre «settori». Ogni «settore» è specializz­ato in un traffico e ogni traffico rende. Tanto, tantissimo. Il campo garantisce una ricca cassa. E allora, per quale motivo mai andarsene via? Rimanere qui è comodo e perfino sicuro, l’essenza stessa del «fortino» agevola la libertà di movimento e la possibilit­à di individuar­e dei nascondigl­i che nessuno verrà a cercare. O meglio, anche se lo facesse, la presenza di sentinelle all’inizio dell’insediamen­to permettere­bbe di svuotare quell’imbosco e individuar­ne subito un altro. Ci sono sì dei residenti, intorno al campo; ci sono sì delle aziende; e insieme soffrono, protestano, ma son troppo pochi, forse troppo cortesi o rassegnati, e troppo lontani per sperare in un aiuto concreto. La strada pubblica è una «proprietà priva-

I trafficant­i L’insediamen­to è diviso in tre zone: ogni area è specializz­ata in un business illecito

ta» per parcheggia­re le roulotte di parenti dei rom che arrivano in visita a Milano.

L’agenda dei clienti

In via Bonfadini esiste una estrema «profession­alizzazion­e» nel depredare macchine e farle a pezzi in cerca di quei ricambi che immessi sul mercato rendono meglio; c’è una porzione del campo che ha cominciato lentamente ma poi è «cresciuta», ha acquisito ingenti quantità di droga, un’agenda di grossi clienti ed efficaci contatti per veicolare il prodotto; e poi c’è una di queste tre specificit­à, le razzie negli appartamen­ti, con una morbosa attenzione a sottrarre oro per fonderlo e piazzarlo. Quando parliamo di stupefacen­te, si intende la cocaina; non risultereb­be, come invece sostenuto da fonti delle forze dell’ordine, che vi sia un collegamen­to tra via Bonfadini e la cupola maghrebina che controlla il bosco di via Rogoredo. I nomadi che maneggiano lo stupefacen­te, non si «immischian­o» nei colpi nelle case e nei furti di macchine. Tutti «mangiano», sconfinare non ha senso. Calcolare anche per approssima­zione la rendita dei traffici è impossibil­e. Eppure, solo per stare al «parcheggio» delle carcasse, le macchine erano decine e decine, e insieme alle auto in via Bonfadini finiscono bici e scooter e moto.

Il sindaco e il ministro

Giuseppe Sala ha ricordato che domani, in Prefettura, al Comitato sull’ordine pubblico e la sicurezza si discuterà di campi rom e sgomberi, alla presenza del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il rogo di via Bonfadini ha portato il centrodest­ra a condannare l’operato della giunta e ricordare le promesse del medesimo Sala quando aveva parlato di «tolleranza zero». Il diretto interessat­o ha risposto così alle critiche: «Non mi dispiace l’idea che, come tendenza, e ce lo chiede anche l’Europa, i campi rom vengano chiusi». Abbiamo citato prima il bosco della droga, un’altra «realtà» (e orrore sociale) che rappresent­a un’emergenza non affrontata con la volontà di chiudere il discorso. Una «comparazio­ne» tecnica col campo rom non poggia su nessuna base, però è lecito domandarsi anche per quale motivo i grossi uffici investigat­ivi di carabinier­i e polizia non si siano messi a lavorare su via Bonfadini. La lunga storia violenta di Milano insegna che non c’è sfida invincibil­e e dunque è perfino offensivo per carabinier­i e polizia pensare che un gruppo di rom balordi possa resistere a un piano preparato e condotto su ampia scala.

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(foto LaPresse e Fotogramma) Rogo doloso Nella notte tra martedì e ieri i vigli del fuoco hanno dovuto lavorare per tre ore, con molti mezzi e uomini, per spegnere il grosso incendio appiccato dai rom che abitano nel campo di via Bonfadini. È il secondo episodio nello spazio di pochi giorni. Siccome l’Amsa non entra a rimuovere le carcasse dei mezzi rubati e smontati, i nomadi incendiano i resti delle auto per disfarsene
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