Auto, droga, furti Le isole criminali del campo rom
Nuovo rogo doloso: esplode il caso Bonfadini
L’ ennesimo rogo doloso appiccato alle macchine rubate e fatte a pezzi. Ma al di là dell’episodio della scorsa notte, la realtà del campo rom di via Bonfadini, abitato da italiani quasi tutti pregiudicati, ha superato ogni confine d’illegalità. L’insediamento, inaccessibile per le forze dell’ordine, è diviso per specializzazione criminale: i furti nelle case, il traffico di droga e le auto depredate. Domani il vertice in Prefettura con Salvini. Sala: sì agli sgomberi.
Se vogliamo, l’incendio doloso della scorsa notte per liberare la discarica, è il male minore. Il campo rom di via Bonfadini, ai margini del quale per tre ore i vigili del fuoco hanno spento le fiamme appiccate alle carcasse delle macchine rubate e smontate che l’Amsa, con legittimi motivi — la reiterazione degli episodi, la volontarietà degli atti e la paura di avvicinarsi a quel luogo — non rimuove più, è l’esempio perfetto di come per colpa della tolleranza istituzionale, di vecchia data, e dell’assenza di radicali interventi delle forze dell’ordine, ugualmente perpetuata nel tempo, un piccolo angolo di Milano sia diventato enclave. Un posto inaccessibile, perché nessuna pattuglia si addentra non prima d’aver chiesto supporto ai colleghi; un posto regolare, in quanto il campo è autorizzato, sfuggito però a qualsiasi tipo di regola, e altrimenti i nomadi, tutti italiani e quasi integralmente pregiudicati, non avrebbero già costruito e non starebbero continuamente costruendo ville abusive, nemmeno avessero tirato fuori i soldi per comprare un appezzamento di terra.
La «cassaforte»
Ecco, questa scelta di insistere a vivere in via Bonfadini, estrema periferia Est, vicino alla tangenziale, anziché «uscire» e acquistare altrove case di lusso, agli occhi di una delle fonti investigative sentite dal Corriere è una diretta conseguenza dell’anima criminale del campo. E dei suoi profitti milionari. E della consapevolezza d’impunità. L’insediamento è diviso in tre «settori». Ogni «settore» è specializzato in un traffico e ogni traffico rende. Tanto, tantissimo. Il campo garantisce una ricca cassa. E allora, per quale motivo mai andarsene via? Rimanere qui è comodo e perfino sicuro, l’essenza stessa del «fortino» agevola la libertà di movimento e la possibilità di individuare dei nascondigli che nessuno verrà a cercare. O meglio, anche se lo facesse, la presenza di sentinelle all’inizio dell’insediamento permetterebbe di svuotare quell’imbosco e individuarne subito un altro. Ci sono sì dei residenti, intorno al campo; ci sono sì delle aziende; e insieme soffrono, protestano, ma son troppo pochi, forse troppo cortesi o rassegnati, e troppo lontani per sperare in un aiuto concreto. La strada pubblica è una «proprietà priva-
I trafficanti L’insediamento è diviso in tre zone: ogni area è specializzata in un business illecito
ta» per parcheggiare le roulotte di parenti dei rom che arrivano in visita a Milano.
L’agenda dei clienti
In via Bonfadini esiste una estrema «professionalizzazione» nel depredare macchine e farle a pezzi in cerca di quei ricambi che immessi sul mercato rendono meglio; c’è una porzione del campo che ha cominciato lentamente ma poi è «cresciuta», ha acquisito ingenti quantità di droga, un’agenda di grossi clienti ed efficaci contatti per veicolare il prodotto; e poi c’è una di queste tre specificità, le razzie negli appartamenti, con una morbosa attenzione a sottrarre oro per fonderlo e piazzarlo. Quando parliamo di stupefacente, si intende la cocaina; non risulterebbe, come invece sostenuto da fonti delle forze dell’ordine, che vi sia un collegamento tra via Bonfadini e la cupola maghrebina che controlla il bosco di via Rogoredo. I nomadi che maneggiano lo stupefacente, non si «immischiano» nei colpi nelle case e nei furti di macchine. Tutti «mangiano», sconfinare non ha senso. Calcolare anche per approssimazione la rendita dei traffici è impossibile. Eppure, solo per stare al «parcheggio» delle carcasse, le macchine erano decine e decine, e insieme alle auto in via Bonfadini finiscono bici e scooter e moto.
Il sindaco e il ministro
Giuseppe Sala ha ricordato che domani, in Prefettura, al Comitato sull’ordine pubblico e la sicurezza si discuterà di campi rom e sgomberi, alla presenza del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il rogo di via Bonfadini ha portato il centrodestra a condannare l’operato della giunta e ricordare le promesse del medesimo Sala quando aveva parlato di «tolleranza zero». Il diretto interessato ha risposto così alle critiche: «Non mi dispiace l’idea che, come tendenza, e ce lo chiede anche l’Europa, i campi rom vengano chiusi». Abbiamo citato prima il bosco della droga, un’altra «realtà» (e orrore sociale) che rappresenta un’emergenza non affrontata con la volontà di chiudere il discorso. Una «comparazione» tecnica col campo rom non poggia su nessuna base, però è lecito domandarsi anche per quale motivo i grossi uffici investigativi di carabinieri e polizia non si siano messi a lavorare su via Bonfadini. La lunga storia violenta di Milano insegna che non c’è sfida invincibile e dunque è perfino offensivo per carabinieri e polizia pensare che un gruppo di rom balordi possa resistere a un piano preparato e condotto su ampia scala.