Profughi al lavoro nelle vigne: arrestati i caporali
Nell’Oltrepo un centinaio di rifugiati africani al lavoro per 4 euro l’ora
PAVIA Un centinaio di extracomunitari sfruttati da caporali indiani per la vendemmia sulle colline del Pinot. «Lavoravano sotto il sole per dodici ore al giorno senza alcuna protezione. Alcuni erano persino in ciabatte». I ragazzi venivano stipati in furgoni e trasportati ogni mattina all’alba in alcune aziende vitivinicole dell’Oltrepo Pavese da due autisti caporali indiani di 41 e 39 anni, finiti in manette con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Gli operai, assunti occasionalmente da alcune cooperative del piacentino, erano costretti a giornate di lavoro massacranti per poco più di quattro euro l’ora.
A scoprire il primo caso di caporalato in provincia di Pavia sono stati i carabinieri di Stradella (Pv) e del Nucleo ispettorato del lavoro di Pavia, che da giorni controllavano i movimenti sospetti dei due indiani, appostati dietro alla piazzetta di Braccio, piccola frazione di San Damiano al Colle, scelta come punto di ritrovo dei tanti lavoratori di origine africana sfruttati per la vendemmia. Mercoledì mattina poco dopo le sette, i carabinieri sono entrati in azione e hanno bloccato i furgoni condotti dai due autisti sui quali si trovavano 16 lavoratori da portare nei campi.
Altri due indiani, rispettivamente presidente e vicepresidente di una società cooperativa di Piacenza, sono stati denunciati: secondo quanto è emerso dalle indagini sarebbero loro ad aver reclutato i richiedenti asilo africani, sfruttandoli senza scrupolo, approfittando del loro stato di bisogno.
La sveglia degli operai, tutti richiedenti asilo e profughi ospitati nei centri di accoglienza e in tendopoli nel piacentino, suonava intorno alle 4.30; davanti a loro una giornata a schiena china lunga 12 ore prima di fare ritorno a casa in tarda serata. Una volta arrivati a San Damiano al Colle, i due autisti li smistavano, li caricavano dieci alla volta su furgoni omologati per sette, e li portavano in vigna. Il servizio di trasporto, rocambolesco e molto pericoloso, non era gratuito: gli autisti caporali avevano stabilito una tariffa giornaliera di due euro da togliere alla paga da fame, che ogni lavoratore doveva sborsare obbligatoriamente. Le condizioni di lavoro erano impossibili e le misure di sicurezza inesistenti: nessuno indossava guanti, copricapo e scarpe adeguate; alcuni operai lavoravano addirittura in infradito. «Venivamo nei campi con i vestiti che abbiamo perché i capi non ci hanno dato niente. Fa molto caldo e la testa scotta». La pausa pranzo, poi, non era contemplata: «Qualcuno si sedeva nascosto tra le viti a mangiare un panino, ma per cinque minuti in tutta la giornata». Nei campi i carabinieri hanno identificato e controllato 68 lavoratori; due le aziende vitivinicole sino ad ora accertate che si sarebbero servite della manovalanza dei profughi sfruttati dai caporali indiani. Ancora da valutare la posizione dei titolari delle aziende.