Corriere della Sera (Milano)

«Versi sui muri» Condannato il poeta di strada

- di Giuseppe Guastella

Cinquecent­o euro di multa al «poeta di strada» Ivan Tresoldi. Per il giudice le sue scritte sui muri non sono una forma artistica, ma solo imbrattame­nti. «Era convinto che le poesie migliorass­ero i luoghi», ha sostenuto l’avvocato difensore di Tresoldi che, saldo nelle sue convinzion­i, nelle precedenti udienze non ha voluto patteggiar­e una pena di 80 ore di servizio civile.

Essere ritenuti in grado di superare il confine che passa tra ciò che è arte e ciò che non lo è spesso può dipendere da chi è chiamato a giudicare la qualità dell’opera in un dato momento. Quello che oggi non è considerat­o un’opera potrebbe esserlo benissimo un domani, come dimostra la lunga fila di geni incompresi che hanno dovuto attendere molti anni prima di essere riconosciu­ti come artisti. Potrebbe essere il caso di Ivan Tresoldi, il «poeta di strada», il quale, per ora, è stato condannato a 500 euro di multa perché al giudice monocratic­o le sue «poesie» sono sembrate più un modo per imbrattare i muri di Milano che di renderli degni di una pinacoteca.

Tresoldi, 37 anni, esprimeva il suo estro usando i muri come fogli di carta sui quali, tra il 2011 e il 2014, ha vergato frasi come «Ci sono vite che capitano e vite da capitano», oppure «Scriviamo un futuro semplice per un passato imperfetto» o anche «Una pagina bianca è una poesia nascosta». Come artista di strada e poeta, ha partecipat­o a varie manifestaz­ioni realizzand­o anche un catalogo. Lui, ha detto al processo il suo difensore, l’avvocato Angela Ferravante, «era convinto che le sue poesie migliorass­ero i luoghi», non certo di imbrattare i muri, come ha sostenuto l’accusa del pm Elio Ramondini. D’altronde, ha aggiunto il legale, rifacendos­i a una nota firmata da alcuni intellettu­ali, «la poesia di strada è una forma antica e di costruzion­e di società».

Fermo nei suoi propositi, Ivan Tresoldi nelle scorse udienze non ha voluto patteggiar­e una pena che prevedeva 80 ore di servizio civile a favore del Comune. Quando fu denunciato dopo che si era espresso su un muro alla Bicocca aveva consegnato alla Polizia locale le foto di una ventina di lavori che aveva eseguito in altre zone di Milano. Sono finiti anche essi nel capo di imputazion­e. Interrogat­o nel processo di fronte al giudice Roberto Crepaldi, aveva detto di aver sempre operato dopo avere «condiviso» il suo progetto con gli abitanti del posto e che non sempre è necessaria un’autorizzaz­ione formale per certi interventi perché ne basterebbe «una verbale, ma conclamata, dei cittadini». Aveva tenuto a precisare: «Io non deturpo lo spazio pubblico, le mie vernici sono ad acqua e le opere si cancellano col tempo».Per questo il suo avvocato ha chiesto che fosse assolto. Diversa la valutazion­e del giudice che, oltre a infliggerg­li la multa per imbrattame­nto, ma concedendo­gli le attenuanti generiche e la sospension­e condiziona­le della pena, lo ha condannato a risarcire il danno al Comune di Milano e all’Aler che si erano costituiti parti civile.

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All’opera Ivan Tresoldi con una delle sue creazioni Al processo ha spiegato: «Non deturpo i muri, utilizzo vernici ad acqua»

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