Hitchcock prima di Hollywood
I temi del dubbio e del sospetto si affacciano già nei film del periodo inglese
Quando Alfred Hitchcock nel 1940 cominciò a lavorare a Hollywood, era uno dei più noti registi inglesi, con una filmografia di tutto riguardo cominciata all’epoca del muto. Subito tanti critici si lamentarono della sua presunta «commercializzazione», rimpiangendo i vecchi film. Esagerazioni a parte, la produzione britannica di Hitchcock continua a essere la meno nota. E mostra un regista sperimentale e colto, che conosce molto bene le avanguardie, ma decide di giocare sul terreno del cinema di genere. All’Hitchcock britannico, dedica una retrospettiva il Mic, da domani al 27 ottobre (viale F. Testi 121, biglietti 7/5 euro). Si comincia domani alle 17 con «La signora scompare» (1938), originale fin dall’ambientazione claustrofobica su un treno e dalle allusioni al nazismo.
I due film muti («Blackmail» e «The Lodger», in programma il 7 e il 21 ottobre) sono accompagnati dal pianoforte di Antonio Zambrini e Francesca Badalini. Nel primo, del 1929, l’assassina (sia pure per legittima difesa) è anche la vittima, e il finale si svolge al British Museum: per la prima volta Hitch utilizza un celebre spazio pubblico come scenografia di una sequenza di suspense, come farà in seguito in «Intrigo internazionale». Nel secondo, del 1927, un presunto serial killer (interpretato dal carismatico Ivor Novello) è ospite di una pensioncina. Hitchcock imposta i suoi classici temi del dubbio e del sospetto, e costruisce un’atmosfera inquietante con immagini inaudite: a partire dalla soggettiva impossibile in cui un soffitto diventa trasparente. I virtuosismi tecnici si accompagnano, in questi film, ad audaci scelte di sceneggiatura. Come quella di far morire un certo personaggio (noi non diciamo quale: ma non dovrebbero dirlo neanche i programmi di sala, per quanto si tratti di un classico) in «Sabotaggio» (il 13), tratto da «L’agente segreto» di Joseph Conrad. Nel 1936 il pubblico non glielo perdonò. E Hitchcock, che era molto sensibile a certe cose, nel celebre libro-intervista con François Truffaut confessò di essersi pentito.