Corriere della Sera (Milano)

Il ritorno degli Suede «Ci divertiamo ancora»

Brett Anderson: «In tour mi diverto ancora»

- di Raffaella Oliva

La storia di un bambino perso nel buio. Questo il fil rouge di «The Blue Hour», ottavo disco degli inglesi Suede. La band di Brett Anderson, tra le più importanti del panorama indie rock degli anni 90, torna a Milano: stasera sarà in concerto al Fabrique. E torna ad appena due settimane dall’uscita del suo nuovo album in studio, il terzo dalla reunion del 2010. Già, perché dopo il successo di brani quali «Beautiful Ones», «So Young», «Animal Nitrate» e «We Are The Pigs», nel 2003 c’era stato lo scioglimen­to e Anderson si era buttato nella carriera solista. Poi, nel 2010, la ricomparsa sulle scene, che ha portato alla pubblicazi­one di «Bloodsport­s» (2013), «Night Thoughts» (2016) e ora di questo «The Blue Hour», opera che innesta nel sempre riconoscib­ile stile Suede degli inserti orchestral­i che conferisco­no ad alcune tracce un gusto da colonna sonora. «La colonna sonora di un film girato nelle campagne inglesi, dove al calare della sera l’atmosfera si fa romantica, ma anche spettrale», precisa Anderson. Sarà una sorta di doppio concerto, dunque, quello che lui e soci proporrann­o al Fabrique, con una parte dedicata ai classici di una carriera trentennal­e, e un’altra alle nuove canzoni. Tra queste «The Invisibles», ispirata — spiega il cantante e songwriter — a riflession­i stimolate dalla sua recente autobiogra­fia «Coal Black Mornings»: «Per scriverla mi sono immerso nei ricordi e ho capito che una delle mie paure, da ragazzo, era di vivere senza lasciare un segno». E prosegue: «Ho dovuto urlare parecchio per farmi sentire e ho la sensazione che solo nel momento in cui sono diventato famoso la gente abbia iniziato ad ascoltarmi davvero. Non ho comunque mai smesso di sentirmi un outsider, non mi sento parte del music business».

Gli anni 90 furono una stagione d’oro per lui, tutt’oggi tra i migliori performer su piazza: uno che a 51 anni si mangia il palco a colpi di mosse sensuali, salti, lanci di microfoni, alla costante ricerca del contatto con il pubblico. «I tour non sono più una vacanza o un party continuo come ai nostri esordi, ma mi diverto molto», confida Anderson. E a proposito di «The Blue Hour», disco ambizioso, notturno, attraversa­to da un’epica favorita dalla collaboraz­ione con l’Orchestra Filarmonic­a di Praga e con il compositor­e Craig Armstrong, afferma: «L’obiettivo era evolverci. Non ci interessa ripeterci, anzi, buttiamo via tanto materiale proprio perché rimanda a cose già fatte, e meglio. Buttiamo e cerchiamo nuove strade». Pazienza se il modo di fruire la musica è diverso da quando era un giovane sex symbol dell’indie rock: «In un momento in cui il mercato si basa su singoli pezzi e playlist, abbiamo inciso un concept album piuttosto scuro, che guarda al mondo con gli occhi di un bambino, da ascoltare dalla prima all’ultima traccia senza interruzio­ni», dice Anderson. «Il fatto è che siamo convinti che ci sia ancora una platea che di questo tipo di dischi ha bisogno».

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