Auto e chili d’oro: blitz al campo rom Il capo in manette
Via Bonfadini, preso il papà del baby-rapper
Icarabinieri hanno passato al setaccio il campo nomadi di via Bonfadini per tutta la giornata. Un centinaio di uomini per un’operazione che ha portato a 21 misure cautelari. Tra cui Angelo Guarnieri, detto lo «zio», 67enne rom italiano, uno degli storici capi del campo, l’uomo che gestiva una delle specializzazioni criminali di quest’angolo di città: la ricettazione di preziosi (le altre sono il traffico di cocaina e le razzie di macchine).
Un metro e 65, guance rasate, capelli scuri. Un uomo qualunque e dal soprannome comune. Invece Angelo Guarnieri detto lo «zio», 67enne originario di Chieti, rom italiano, è uno degli storici capi del campo nomadi di via Bonfadini. E in quest’angolo della periferia Est alle cinque di ieri visitato da un centinaio di carabinieri, rimasti poi a oltranza — in serata ancora si scavava alla ricerca di nascondigli — Guarnieri è quello che gestiva una delle tre specializzazioni criminali: la ricettazione di preziosi (gli hanno sequestrato gioielli non suoi per oltre un milione di euro). Le altre specializzazioni sono il traffico di cocaina e le razzie di macchine successivamente smontate e rivendute a pezzi, con le carcasse incendiate. La prima attività, proprio grazie all’operazione che ha portato a complessive 21 misure cautelari, dovrebbe per appunto esser terminata. Quanto alle restanti due, vedremo eventualmente più avanti se cambierà la tattica, perché da troppo tempo via Bonfadini, un campo autorizzato, è fuori da ogni regola. E qui s’intende non il mancato controllo quotidiano delle forze dell’ordine, pur al netto della fatica di entrare se non con numerose pattuglie, quanto nell’assenza di inchieste faticose e definitive. Nell’attesa, naturalmente, dello sgombero sul quale il sindaco Giuseppe Sala la scorsa settimana ha manifestato delle aperture.
Quest’operazione, condotta dai carabinieri di Novara e passata attraverso gli appoggi e la «mediazione» con i nomadi dell’esperta truppa della caserma milanese di Porta Romana che ha competenza per giurisdizione, è l’ultimo capitolo di una rincorsa iniziata nel 2016. C’erano già stati arresti ma dal giro erano rimasti fuori alcuni pezzi grossi. Soprattutto, si erano salvati il campo rom e i suoi personaggi col maggior profilo delinquenziale. Ovvero lo «zio» e il figlio Fioravante, 37enne nato in provincia di Ravenna. Sono, per la cronaca, il nonno e il papà del fenomeno di via Bonfadini, quel bimbo rapper i cui video, su Internet, hanno più visualizzazioni di certi vincitori del festival di Sanremo. Erano rimasti fuori, i Guarnieri, e ora li troviamo al centro dell’ordinanza di 61 pagine firmata dal gip Luigi Gargiulo, in una nutrita associazione criminale che comprendeva albanesi, romeni e cingalesi con basi fra via Salomone, Pioltello e Segrate.
La maggior difficoltà investigativa è sempre stata l’impossibilità di infiltrarsi in via Bonfadini per posizionare telecamere e cimici. Le sentinelle agli ingressi, la densità abitativa, la stessa logistica del campo hanno quasi obbligato i carabinieri a percorrere altre piste. Ugualmente non facili. Una volta «battezzate», dopo valutazioni e prove a vuoto, le macchine da seguire, la caccia durava comunque pochi chilometri. A bordo spesso di Porsche Macan e Panamera, i rom e i loro sodali imboccavano la vicina Tangenziale Est, acceleravano spaventosamente e salutavano gli inseguitori. Soltanto la mappatura, bisognosa di costanza giorno dopo giorno, dei vari passaggi sul territorio compiuti da quelle Porsche uscite dalla Tangenziale, ha permesso di creare una mappa e di visualizzare su di essa le strade di Milano più battute. Una portava al bar all’angolo tra via Cavezzali e via Padova, teatro di uno scambio di oggetti tra degli albanesi, la feroce manovalanza dei Guarnieri, e due balordi esperti in ricettazione. Quei due, interrogati dai carabinieri, per alleggerire le proprie responsabilità se l’erano cantata. Uno in particolare aveva detto: «La merce che mi è stata trovata e di cui ero perfettamente a conoscenza che era merce di provenienza furtiva, l’ho acquistata al campo nomadi di via Bonfadini da un soggetto che tutti chiamano zio. Lo zio vive in una baracca. Per effettuare lo scambio mi sono recato all’interno di un’altra baracca. Il prezzo di vendita viene fatto dallo zio in base alla quotazione dell’oro usato».
Avendo fatto nella sua esistenza unicamente questo, nel campo Angelo Guarnieri è un autentico esperto e infatti si atteggiava a insegnante. Ci teneva a che i suoi «sapessero». Le conversazioni delle telefonate intercettate, dove le precauzioni adottate erano blande — si credevano invincibili — restituiscono dialoghi assai tecnici, dai codici dei carati ai certificati gemmologici fino alla purezza. Anche se, alla fine, come conferma la scoperta in passato di una fonderia ricavata in un appartamento di via Giacosa, appena se ne presentava l’occasione i nomadi scioglievano tutto quanto, anelli, bracciali e collane, così da ritrovarsi il bottino in polvere, anche per far sparire le tracce degli oggetti rubati nelle abitazioni di mezza Lombardia. C’è stato soltanto un attimo, istantaneo, che ha visto il capo, lo «zio», poco sicuro, perfino preoccupato. Era una notte d’inverno e al figlio Fioravante si raccomandava: «C’è nebbia sulle strade... State attenti, state attenti… Andate piano...».