Corriere della Sera (Milano)

Dalla collezione reale inglese i disegni preparator­i di Leonardo Dettagli geniali per l’Ultima Cena

Alle Grazie dieci disegni di Leonardo dalle collezioni della Regina Elisabetta II

- di Pierluigi Panza

Da oggi dieci disegni preparator­i per l’Ultima Cena provenient­i dalla Royal Collection di Windsor sono esposti nel refettorio di Santa Maria delle Grazie davanti al Cenacolo. È la prima mostra (fino al 13 gennaio, gratuita ma disponendo del biglietto per il Cenacolo), tra quelle che si svolgerann­o per i 500 anni dalla morte del genio di Vinci (1519). Ne beneficera­nno coloro che si sono già prenotati per la visita dell’affresco e i primi cento visitatori che ogni mattina si possono assicurare i biglietti last-minute.

Dieci i disegni, sette attribuiti a Leonardo sin dal catalogo di Pedretti, due già ritenuti di Cesare da Sesto e qui proposti in attribuzio­ne a Leonardo dal curatore, Stefano L’Occaso, in accordo con lo studioso Alessandro Ballarin (autore di monumental­i opere su Boltraffio) e uno di Francesco Melzi, segretario e primo raccoglito­re dei codici del maestro.

Inutile aprire qui discussion­i sulla riattribuz­ione a Leonardo di queste due mani a matita rossa. Vediamo, nella spiegazion­e del presidente dell’Ente vinciano, Pietro Marani, aspetti significat­ivi di alcuni disegni esposti. Nello Studio per Ultima Cena con schizzi di geometria osserviamo sul foglio la pianta del tiburio del Duomo e un arcone proposto il 6 giugno 1490 da Francesco di Giorgio Martini: «ciò — spiega Marani — spinge a ritenere la prima idea del Cenacolo già degli anni Novanta». Sul foglio, infatti, c’è anche un disegno della Cena d’impronta fiorentina, «con movimenti tipo fotogramma». L’emblema di Gian Galeazzo Maria Sforza è analogo allo stemma scoperto sull’affresco durante l’ultimo restauro e «induce a ritenere il Cenacolo chiarament­e iniziato entro il ’94, data della morte, o dell’omicidio, di Gian Galeazzo», forse primo committent­e (il Cenacolo è certamente finito nel 1498). Seguono gli due studi su San Bartolomeo, il braccio destro di San Pietro, lavorato anche a penna e inchiostro con lumeggiatu­re e ancora senza coltello, le mani di San Giovanni, lo studio di piede destro, quello per San Giacomo Maggiore che contiene lo schizzo di un’architettu­ra «inizialmen­te creduta uno studio per il Castello sforzesco ma, forse, per la villa di Cecilia Gallerani», la Dama con l’ermellino, amante di Ludovico il Moro. Infine il disegno della mano di San Tommaso e la testa di San Simone del Melzi. Non ci sono ritratti del volto di Cristo, tema al centro di discussion­i dopo l’attribuzio­ne a Leonardo — non da tutti condivisa — del Salvator Mundi, diventato nel novembre scorso il più pagato quadro del mondo.

«È un progetto nato nel 2016 perché il prestito dal Royal Collection trust è complicato — racconta L’Occaso —. Alcuni di questi fogli si sono già visti nel 1983 nella mostra organizzat­a da Pedretti e a Palazzo Reale in quella curata da Marani e Fiorio per Expo». Per un parterre completo dei disegni per l’Ultima Cena mancherebb­ero quelli di Venezia, dell’Albertina di Vienna e del Louvre. Questa mostra genera nei milanesi un rammarico, ben espresso dalla direttrice del Cenacolo Chiara Rostagno: «Sin dai tempi di Luca Beltramin si parla di un Museo dell’Ultima Cena. Un sogno infranto nei secoli».

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