LA SCIURA ANGELA, I TORTELLINI E QUELLA CITTÀ CHE NON C’È PIÙ
Caro Schiavi,
«Mi podi no laurà nel bar» dice il Gianni al Giacomo e ci spiega la differenza: «Nella pasticceria anche se hanno fretta si fermano a chiederti cosa c’è nei bignè…. ma nel bar ora la gente non saluta neanche più perché chiede un caffè mentre scrive sul telefono e allora… si arriva a sera con fatica. Però non son più i tempi del Molina… si ricorda signora?». Sì, mi ricordo: si ordinavano i cannoncini per il pranzo della domenica il sabato pomeriggio, perché facevano solo tre infornate la domenica mattina. Se si arrivava tardi il Gianni strizzava l’occhio e diceva: signora venga qui… e dava il foglietto, «sei cannoncini crema» con la sua firma e la data. Gli brillavano gli occhi quando lo ringraziavano dicendogli che era «speciale».
Mi sono seduta anch’io al tavolo del Giacomo e lì Gianni mi ha subito detto: «Le faccio un cappuccio? Offro io!». Mentre il Gianni corre alla sua Kimbo chiedo al Giacomo notizie di sua moglie, la sciura Angela. Noi siamo i vecchi del quartiere, in via Canonica, che ormai girano ricordando chi c’era a ogni portone come se non volessimo vedere chi c’è oggi. Come i vecchi di ogni generazione pensiamo che i tortellini della sicura Angela non ci sono più e facciamo finta che ci piacciano tanto i pacchetti di plastica del supermercato. Quelli che togli da uno scaffale da solo, paghi alla macchinetta da solo, cucini e mangi da solo mentre messaggi per sentirti meno solo. Com’era bello quando la sicura Angela dietro il vetro preparava i ripieni e il Giacomo veloce riempiva la pasta e con un gesto elegante metteva la semola e dava le raccomandazioni per la cottura. Poi mentre si pagava, dava un raviolo crudo ai bimbi dicendo: «Mangia che è tutta roba buona!».
Questo è quello che non c’è più, quel collante sociale che rendeva ciascuno responsabile del proprio lavoro di cui si sentiva protagonista e quando, anche in una città, due incroci diventavano un paese in cui ciascuno aveva un ruolo e i saluti di ogni giorno erano la certezza di essere parte di una comunità.
Anche l’Antonia ha chiuso la panetteria, suo marito non ce la faceva più ad alzarsi alle 4 a fare il pane: lo faceva da quando aveva 14 anni. Il cartello «Stefanini il mago dei panini» non c’è più… «il Gianni dice che metteranno un supermercato piccolo…». Un alter…
Cara Silvia, grazie per il tuffo carpiato nei ricordi. Ma il tempo cambia e cambiamo noi: speriamo che nei cambiamenti non si perda l’ironia e la bonaria umanità di quei negozianti della Milan veggia. ma dei nomadi comunitari e nessuno mi ha mai risposto, figurarsi fare qualcosa. Infatti i nomadi sono ancora in strada alla Barona, tra le case e vicino a scuole materne.
E io invece spezzo una lancia a favore dei piccioni (grigi..se fossero colorati come i pappagalli forse sarebbero più accettati).che secondo studi dell’Università di Basilea non sono portatori di malattie per l’uomo nè per gli animali domestici.
Mi riferisco ovviamente alla lettera pubblicata ieri in cui un lettore dichiara i piccioni sono dannosi. In gioventù ne ebbi uno a casa , si addomesticò e fece il nido (era una picciona) nel bagno di servizio con la finestra sempre socchiusa.Il piccione e la picciona si alternavano nella cova. Purtroppo persero il piccolo. Mi stava sul dito indice e sentivo le sue zampine fredde che si aggrappavano. Poi lui e lei scomparvero ma fu una bella esperienza.Nessuna malattia presa.