Capannoni, roghi e trasporti Affare da un milione di euro
Un sistema che opera in tutta la regione. L’indagine a Corteolona
Un vero e proprio sistema che ha trafficato rifiuti e appiccato incendi da un capo all’altro della Lombardia. Da Pavia a Lecco passando per Mantova e Milano. L’operazione dei carabinieri forestali dello scorso 12 ottobre che ha portato all’arresto di sei persone ritenute responsabili del rogo di rifiuti a inizio anno a Corteolona ha cristallizzato il funzionamento del «sistema». Nell’inchiesta non solo sono stati svelati nomi e meccanismi di un episodio che ha preoccupato e preoccupa l’opinione pubblica. Gli investigatori hanno messo nero su bianco come quelle «centrali affaristico imprenditorial-criminali», definizione della Direzione nazionale antimafia, abbiano probabilmente operato dietro ad almeno un altro rogo di rifiuti nel lecchese e nel riempimento di un altro capannone nel mantovano forse già designato dall’organizzazione come prossimo alle fiamme. Senza contare che il gruppo di sei italiani e un romeno stava già lavorando per l’acquisizione di due nuovi capannoni in provincia di Bergamo, a Levate, e di Sondrio, a Piantedo.
Per inquadrare lo scenario e i suoi attori occorre riavvolgere il nastro alla serata del 3 gennaio scorso, quando a Corteolona, nel pavese prende fuoco un capannone con all’interno 3 mila metri cubi di rifiuti, come ricostruito dai tecnici Arpa. Sulla struttura e sul via vai dei camion che scaricano materiale d’ogni tipo gli inquirenti stavano già indagando da almeno un paio di mesi dopo varie segnalazioni dei vicini. Ancora non sanno che il 38enne salentino Riccardo Minerba, il bresciano Luca Liloni, il calabrese Vincenzo Divino, il milanese Alessandro Ivano Del Gaizo e il canturino Santino Pettinato), più il romeno Stefan Daniel Miere, movimentano tonnellate di rifiuti sconfinando anche nel vicino Piemonte, a Vercelli. Dopo il rogo di Corteolona la preoccupazione nel gruppo è alta perché temono che i carabinieri siano sulle loro tracce, ma il business non conosce pause. Tanto che a poco più di due mesi dall’incendio nel pavese Minerba è già in pista per l’acquisto dei capannoni di Levate e Piantedo. Ma è un altro luogo ancora a far ritenere agli investigatori che il «sistema» si muova anche dietro ad altri roghi: la ex tessitura Walter di Oltrona San Mamette. Finita sotto sequestro il 13 febbraio scorso perché divenuta ormai una discarica abusiva, a fine marzo il capannone, ricolmo di 1.500 metri cubi di plastica prende fuoco. Quindici giorni prima gli investigatori intercettano proprio lì lo stesso Minerba.
Non è finita: i tentacoli della banda sono arrivati fino San Giovanni del Dosso, nel mantovano. Qui l’autotrasportatore Luca Liloni nel giugno del 2017 scarica 400 metri cubi di rifiuti in un altro capannone abbandonato, per poi portarli a Borgo Vercelli. Il carico viene intercettato dai carabinieri che avviano una ulteriore indagine che andrà a intersecarsi con quella della Direzione distrettuale antimafia di Milano.
Un sistema da cui guadagnavano tutti: chi riceveva rifiuti oltre i limiti consentiti, gli autotrasportatori e il mediatore. Nessuno aveva intenzione di fermarsi: gli inquirenti hanno stimato profitti ingiusti per oltre un milione di euro. Chi indaga in questo «mondo di sotto» dei rifiuti avverte come questo gruppo sia solo uno dei «sistemi» che ruotano attorno al business dei rifiuti illeciti. Sotto osservazione non ci sono solo i traffici domestici, ma anche il flusso che porta all’estero, soprattutto ai paesi dell’Est Europa dove gli ex cementifici, soprattutto quelli romeni, si stanno progressivamente trasformando in discariche abusive.