Tutto Beethoven con Buchbinder
Al chiaro di luna con Buchbinder: «Eppure mi commuovo ogni volta»
Un’altra volta. Non sa neppure lui quale, ha tagliato il traguardo delle 50 nel 2015 e quasi non le conta più. «Ma ogni volta c’è qualcosa di nuovo da imparare, da scoprire, da stupirsi». Non replica un mantra, Rudolph Buchbinder, basta vedere come si commuove mentre suona ognuna delle 32 Sonate di Beethoven. «Beh, ammetto di essere facile alle lacrime, ma davvero in ogni Sonata spunta sempre — e non per forza è sempre lo stesso — un passaggio che mi commuove». Questa sera il settantunenne pianista nato in Repubblica Ceca ma viennese per dna musicale, inizia per la Società dei Concerti l’ennesima integrale, con cinque sonate giovanili tra cui il popolare «Chiaro di luna». «Suono di tutto, da Bach ai contemporanei; con Lorin Maazel e i Bayerisches Rundfunks ho affrontato varie volte Gershwin, un autore che adoro; e in auto ascolto spesso Frank Sinatra. Ma Beethoven è semplicemente il più romantico dei compositori classici; chi come lui indicava in partitura “espressivo” pur chiedendo di suonare a tempo? Vuol dire che cercava nella sua musica qualcosa di profondamente emozionale, di talmente estremo che quando lo cogliamo è come se il tempo si fermasse. Czerny racconta che non suonava mai una Sonata allo stesso tempo: aveva una libertà incredibile».
Un altro grande interprete beethoveniano, Barenboim, sostiene che la musica del genio di Bonn non sia mai semplice perché ha sempre in sé un grande messaggio: «Esatto, ed è la stessa urgenza che lo spingeva a cercare sempre nuove soluzioni; non era mai contento dei pianoforti che aveva a disposizione, avrebbe voluto strumenti più potenti, più ampi, più espressivi; nella Sonata op. 101 scrive un “contra e”, un mi basso che non c’era nella usa tastiera, ma lui sapeva che a Londra avevano costruito un pianoforte con quella estensione: lui guardava verso il futuro. Ogni tanto guardo i miei due Steinway e penso a quello che avrebbe scritto se avesse avuto a disposizione pianoforti così». Buchbinder ne ebbe uno fin da piccolo, «ma non così bello! Però era già clamoroso che ci fosse nel nostro appartamentino, due stanze per quattro persone; eppure c’era, con sopra una radio: io ascoltavo la musica che vi passava, ne rimanevo incantato e crescendo incominciai a tentare di suonarla ad orecchio». Imparò in fretta: a 5 anni era già ammesso alla scuola di Vienna: «Non feci mai una lezione da solo, eravamo sempre almeno in dieci; ma era bello così, i miei compagni erano Nelson Freire, Martha Argerich; non c’era invidia, ma grande complicità».