I burattinai delle cosche dietro i pusher magrebini
Così i Barbaro gestivano lo spaccio a Corsico
La ’ndrangheta «controlla in maniera ferrea il territorio» a Corsico, senza mai attirare l’attenzione. È una strategia precisa, quella dei clan: fanno esporre solo manovalanza straniera. Eppure ci sono loro, le famiglie calabresi legate ai potenti Barbaro-Papalia di Platì, dietro ai pusher maghrebini. Quattordici arresti eseguiti ieri dai carabinieri per associazione finalizzata al traffico di droga e spaccio. Dieci italiani, quattro marocchini: erano loro ad occuparsi dello spaccio in strada.
Come fanno i clan della ’ndrangheta a «controllare in maniera ferrea il territorio» (parole del capo della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci) e a non attirare mai l’attenzione, l’indignazione, gli allarmi degli abitanti, e soprattutto dei politici?
Nel modo più semplice che si possa immaginare: tenendo le redini saldissime di ogni traffico ma facendo esporre solo manovalanza straniera. Così in questi anni i social network e le cronache da Corsico si sono riempite di proteste di residenti ed esponenti dell’amministrazione contro bar, spacciatori e «balordi» stranieri. Ignorando un dato che invece magistrati e carabinieri conoscono benissimo: il comando, la gestione, e soprattutto il business, è sempre stato, e sempre sarà, nelle mani dei calabresi. Delle famiglie legate al potente clan Barbaro-Papalia. Gli uomini che a Milano comandano i traffici di coca (ma non solo) da quarant’anni. Ben prima, quindi, delle invasioni dei barbari stranieri.
Così, per chi non conosce il contesto di Corsico, sembra quasi stucchevole che durante la conferenza stampa i magistrati Alessandra Dolci, Stefano Ammendola e David Monti, si concentrino così tanto nell’elogiare il lavoro «eccezionale» dei carabinieri della compagnia di Corsico, guidati dal capitano Pasquale Puca e dal tenente Armando Laviola. Invece non sono parole scontate. Perché muoversi in certi quartieri, così fortemente controllati dai clan, è un’impresa simile a quella di un territorio di guerra, tra contro pedinamenti, vedette e continue «spiate» degli
amici degli amici alla vista di macchine e divise.
Ed è stata una fatica decisiva per le indagini (14 arresti, 10 italiani e 4 marocchini) riuscire a installare una telecamera nella casa di Francesco Truglia, 49 anni, che aveva trasformato il suo appartamento di via dei Navigli 1, in un centro di stoccaggio della cocaina. A colpi di tre chili per volta. L’indagine «Quadrato» parte dallo spaccio al dettaglio, quello su strada, gestito appunto da un gruppo di marocchini. Le loro basi operative erano in un paio di bar (Eldorado e Xia Zohue) ma anche nel centro di Corsico.
I calabresi, invece, stavano al bar «Night and day» nella vicina via Fratelli di Dio, di proprietà della famiglia Trimboli. Da qui i quattro fratelli Antonio (33 anni), Francesco (32), Salvatore (30) e Giuseppe Barbaro (24), gestivano ogni cosa. Con loro anche «l’ufficiale di campo» Francesco Pellegrini, 36 anni, milanese, colui che materialmente riforniva «cavallini» e marocchini di cocaina. Nelle 106 pagine di ordinanza di custodia cautelare il gip, Teresa De Pascale parla di un flusso di 30/40 cessioni al giorno. Roba da 20 euro a dose, come quelle che in più occasioni acquista Emanuele,46 anni, ex presidente di una importante società a partecipazione pubblica. È lui, una volta fermato dai carabinieri (il 9 aprile scorso), a raccontare come funziona lo spaccio dei marocchi: «Fisso l’appuntamento e mi viene detto dove andare. Sul posto vengo avvicinato da una persona che ha già addosso la droga, chiedo il quantitativo, pago e mi allontano. Durante la chiamata riferisco solo il colore dell’auto con la quale mi recherò. Mi servo da tempo da Aziz, pago 20 euro alla busta». Aziz è Azzedine Ouadif, 29 anni, che insieme ad Hamid (54 anni) è il capo delle due piazze di spaccio (al quartiere Quadrato e nella zona di via Cavour).
Quanto i marocchini siano legati al calabresi lo si capisce da una conversazione intercettata tra Hamid Ouadif e Antonio Barbaro: «Voi siete qui dentro al mio cuore, giuro siete il mio sangue anche se non siamo famiglia di sangue. Io vi sento una famiglia».
Il sangue dei fratelli Barbaro, invece, discende — anche se non per via diretta — dai più importanti casati della ’ndrangheta di Platì. Il padre, Pasquale, 58 anni, ha diversi precedenti e pur non essendo «figlio di» è considerato dagli inquirenti come vicino sia al ramo «nigri» sia a quello dei «castani», ossia i discendenti di Francesco Ciccio Barbaro, 91 anni. La madre è Maria Loreta Papalia, 53 anni, figlia di Francesco Papalia, fratello dei boss Domenico, Rocco e Antonio.
L’indagine fotografa gli ultimi due anni. In mezzo ci sono molti uomini noti delle cosche, anche se insieme all’articolo 74 (traffico di droga) non viene contestata l’aggravante mafiosa. Ma nelle maglie dell’indagine vengono arrestati i fratelli Garreffa (Antonio e Pasquale), mentre Giuseppe Perre, 23 anni, si trova già in carcere per estorsione mafiosa. Misura cautelare anche per Natale Trimboli (28) e per il vecchio Giovanni Tocco, da Rho, vicino alle cosche di Rosarno (Reggio Calabria). La droga veniva tenuta da due «insospettabili»: Francesco Truglia e Fabio Galbani, 52 anni, lattoniere. È lui, dopo l’arresto di Truglia ad aprile, a subentrare nella custodia dello stupefacente. La droga — coca e hashish — viaggiava a chili. Poi i Barbaro, insieme a Pellegrini, la suddividevano in buste da 2 etti o 50 grammi che venivano consegnate ai magrebini. Cocaina di qualità elevata, sempre superiore al 60%. Antonio Barbaro è stato catturato al confine di Vipiteno (Bolzano), insieme al fratello, mentre cercava di raggiungere l’Austria e la Germania. Era stato lui, dopo la cattura del fratello Francesco (arrestato a maggio in una operazione della polizia di Domodossola) a prendere la guida del gruppo. A Corsico si muoveva con auto con targa tedesca. La base sempre al «Night and Day» di Giuseppe e Antonio Trimboli (non indagati), locale dove non c’erano marocchini ma solo calabresi di Platì. E che mai, quindi, aveva attirato l’attenzione e le proteste di residenti e politici.