Paul Klee tra cielo e terra Viaggio all’origine del mito del grande artista svizzero
Il pittore svizzero protagonista di una mostra al Mudec Dal Primitivismo alla creazione di una nuova estetica
Filosofo, teorico dell’arte, violinista e artista, Paul Klee non è di quei pittori che si godono con spensieratezza, come una giornata di sole. Per entrare nel suo repertorio di simboli, segni e motivi fantastici, bisogna prendersi del tempo e studiare. L’artista, per Klee, è infatti un alchimista, un mediatore di un territorio di mezzo fra terra e cielo e l’idea della nuova mostra del Mudec, «Paul Klee. Alle origini dell’arte», è proprio quella di raccontare come l’artista svizzero arrivò a elaborare un’arte nuova congiungendo astrattismo e realismo secondo la formula da lui stesso coniata: «Il soggetto era il mondo, seppure non questo mondo visibile».
«Vogliamo indagare la sua relazione con il primitivismo e la strada per la quale arrivò a costruire una nuova estetica staccandosi dalla storia dell’arte occidentale per esplorare la preistoria del visibile», spiega Raffaella Resch, curatrice della mostra assieme a Michele Dantini.
Il percorso espositivo si dipana attraverso un centinaio di opere, raggruppate per temi, che presentano Klee come un «eretico» che andò ad attingere al repertorio delle arti extraeuropee e anche al mondo fantastico dei bambini per creare un nuovo vocabolario di forme, complesso e ricercato. Si comincia con la prima sezione dedicata alle caricature che non servirono a Klee a far emergere maschere satiriche, bensì caratteri psicologici. Si passa poi alla stanza dedicata all’artista mistico e veggente che cerca i suoi repertori nella «sublime isteria» dell’arte bizantina, islamica, medievale. Qui, in un tavolo al centro, sono esposti alcuni acquerelli di un anonimo artista tunisino, acquistati a Tunisi in occasione di un viaggio del 1914 al ritorno del quale Klee dichiarò: «Questo è il momento più felice della vita: il colore e io siamo una cosa sola. Sono pittore», risolvendo così finalmente il suo senso di inadeguatezza.
Si prosegue con il focus su alfabeti, geroglifici, ideogrammi, strumenti per arrivare alla «sintesi di visione esterna e contemplazione interiore», e a questo punto il percorso fa una digressione verso una sala dedicata all’arte africana e un teatro di marionette. «Nell’arte si può anche cominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, nelle raccolte etnografiche oppure a casa propria, nella stanza riservata ai bambini», scriveva Klee. Infine, l’ultima sezione raccoglie la maggior parte delle opere e riduce al minimo la didattica per lasciare il pubblico libero di emozionarsi e immedesimarsi nell’esperienza di sintonia panica di Klee.
Manca un po’ il contesto dell’epoca, lo stesso in cui nacquero lo spirituale nell’arte di Kandinsky, l’esperienza del Blaue Reiter, le ricerche del gruppo di Schwabing, a Monaco, in cui Marianne von Werefkin sosteneva che il futuro dell’arte fosse l’arte emozionale. Klee era certo una sensibilità fuori dal comune, ma non un genio solitario e la sua era una ricerca all’epoca condivisa da molti che vedevano nel XX secolo l’avanzare della scomparsa del sacro.
Il percorso L’artista è presentato come un «eretico» che attingeva alle culture altre e all’universo dei bambini