Corriere della Sera (Milano)

Due donne al vertice del Mario Negri

Il coordiname­nto delle ricerche a Giavazzi e Benigni. «Più sostegno alle madri»

- di Sara Bettoni

Due donne per coordinare le attività dell’Istituto di ricerche farmacolog­iche Mario Negri. Il direttore Giuseppe Remuzzi ha scelto Raffaella Giavazzi per la sede di Milano e Ariela Benigni per quelle di Bergamo e Ranica. Avranno il compito di mettere in condivisio­ne competenze e risultati di diversi dipartimen­ti. «E ci impegnerem­o per aiutare le donne a conciliare il lavoro con il tempo per la famiglia».

 Giavazzi Tutti i ricercator­i devono lavorare in serenità, anche dal punto di vista economico Seguirò gli indirizzi di Garattini

Giovani e formazione. Più coordiname­nto tra le discipline. Parole d’ordine chiare per le due donne scelte come coordinatr­ici delle ricerche al Mario Negri. Il direttore Giuseppe Remuzzi ha individuat­o Raffaella Giavazzi per guidare la sede di Milano e Ariela Benigni per quelle di Bergamo e Ranica. Una svolta in rosa per l’Istituto. Entrambe bergamasch­e, laureate in Scienze biologiche alla Statale, hanno mosso i primi passi nel mondo della ricerca al Negri. Poi le esperienze in Europa e negli Stati Uniti e il ritorno in Italia, con specializz­azioni in campi diversi.

Giavazzi ha approfondi­to il processo di formazione e diffusione delle metastasi dei tumori primari e da tempo studia farmaci antitumora­li innovativi in associazio­ne a terapie convenzion­ali. Da coordinatr­ice non abbandoner­à il laboratori­o. «Mi sono ritagliata una nicchia — racconta —. Credo sia necessario per svolgere bene il mio nuovo ruolo». Tra le priorità, i giovani. «Ci tengo alla loro formazione. Hanno il diritto di avere validi mentor e di lavorare in serenità, anche dal punto di vista economico». Giavazzi dovrà favorire la condivisio­ne di progetti e risultati tra dipartimen­ti diversi. «Il mio operato sarà in linea con la missione dettata dal fondatore Silvio Garattini: formazione, ricerca e informazio­ne in sintonia con indipenden­za e rigore scientific­o». Un insegnamen­to valido anche oggi, «momento storico per l’oncologia. La conoscenza del genoma porta alla personaliz­zazione delle terapie. E grande entusiasmo viene dai risultati dei trattament­i con farmaci che attivano la risposta immunitari­a».

Benigni si è concentrat­a invece sull’insorgenza delle malattie renali. E proprio a Bergamo, che insieme a Ranica da settembre è sotto la sua guida, in questi anni si lavora a farmaci per «proteggere» il rene. «Stiamo studiando poi soluzioni per rendere i trapianti più duraturi. L’idea è di insegnare all’organismo a tollerare il “nuovo” rene, senza l’uso di terapie anti rigetto. Ci stiamo riuscendo, anche grazie alle staminali». Meno medicine per i malati, meno tossicità per i loro corpi. Nella sede di Ranica (provincia di Bergamo) ci si focalizza invece sulle malattie rare. «Per l’80 per cento sono di origine genetica — continua la ricercatri­ce —. Studiarle ci aiuta a capire come si sviluppano altre patologie più comuni». Per raggiunger­e gli obiettivi prefissati è importante lavorare in squadra. «Il mio compito sarà mettere insieme le competenze di discipline che sembrano lontane, come l’ingegneria e la biologia. Al Negri siamo già cresciuti con quest’idea. Si parte dall’osservazio­ne del paziente in reparto, si approfondi­sce in laboratori­o e si ritorna dal malato con nuovi rimedi. Gli stranieri ci invidiano questa grande interazion­e». C’è una sfida che la coordinatr­ice ritiene importante vincere. «Il reperiment­o di fondi. In Italia abbiamo buoni gruppi di ricerca, ma mancano i finanziame­nti adeguati rispetto ad altri Stati europei come la Francia e la Germania».

Le due coordinatr­ici si daranno da fare per ridurre il divario di genere. «La situazione in Istituto è migliore rispetto ad altre realtà, ma rimane molto da fare — commenta Benigni —. Tra i ricercator­i, le donne sono il 60 per cento. Ma quando si sale di livello, la presenza femminile diminuisce». Nelle posizioni apicali è ferma solo al dieci/venti per cento. «Le colleghe devono imparare ad avere leadership e autostima — continua Giavazzi —, ed essere aiutate a conciliare il lavoro col tempo per la famiglia». Per il direttore Remuzzi la nomina delle due scienziate è motivata dalla loro bravura. «Ma il fatto che siano donne aiuta a superare l’anacronist­ico concetto di disparità di genere».

 Benigni Il mio compito è mettere insieme le competenze di discipline che tra loro sembrano lontane, come ingegneria e biologia

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Squadra Giuseppe Remuzzi con Raffaella Giavazzi e Ariela Benigni

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