UN’ONDA DIGITALE SUL LAVORO
Lo chiamavamo posto di lavoro, ponendo l’accento sugli aspetti fisici del «posto»: la scrivania, la cassettiera, vicino o lontano dalla finestra? Poi è arrivata l’onda digitale che ha spazzato via antiche convinzioni e anche alcuni capisaldi dell’analisi marxiana: la proprietà dei mezzi di produzione non è più esclusiva del capitalista. Dai padroncini del furgone siamo arrivati all’esercito dei consulenti, passando per i raider del cibo a domicilio. Nel grattacielo che ospita i vertici delle Generali a Milano, i 2.100 dipendenti non hanno un «posto» fisso, la mattina ci si siede dove c’è spazio e la sera si libera tutto. Non è il primo caso. All’incertezza di qualche dipendente fa eco la compagnia che risparmia il 20 per cento di postazioni di lavoro, contando trasferte e malattie. È solo un effetto della trasformazione digitale: quest’articolo è stato scritto in treno, rientrando a Milano: il pc era nello zaino, perché aspettare? La rivoluzione in atto ha scosso in profondità anche le convinzioni della Cgil, che propone un «piano regolatore» per governare l’invadenza delle app, con l’effetto di richiamare alla memoria Mogol e Battisti: come può uno scoglio arginare il mare? L’ascesa dell’economia intangibile è un fenomeno ben spiegato da Jonathan Haskel e Stian Westlake nel volume Capitalismo senza capitale (Franco Angeli): gli investimenti in beni intangibili sono maggiori di quanto, nei Paesi avanzati, si destina a macchinari, edifici e computer. Tentare una regolamentazione è saggio, tornare indietro impossibile.