Corriere della Sera (Milano)

UN’ONDA DIGITALE SUL LAVORO

- Di Stefano Righi

Lo chiamavamo posto di lavoro, ponendo l’accento sugli aspetti fisici del «posto»: la scrivania, la cassettier­a, vicino o lontano dalla finestra? Poi è arrivata l’onda digitale che ha spazzato via antiche convinzion­i e anche alcuni capisaldi dell’analisi marxiana: la proprietà dei mezzi di produzione non è più esclusiva del capitalist­a. Dai padroncini del furgone siamo arrivati all’esercito dei consulenti, passando per i raider del cibo a domicilio. Nel grattaciel­o che ospita i vertici delle Generali a Milano, i 2.100 dipendenti non hanno un «posto» fisso, la mattina ci si siede dove c’è spazio e la sera si libera tutto. Non è il primo caso. All’incertezza di qualche dipendente fa eco la compagnia che risparmia il 20 per cento di postazioni di lavoro, contando trasferte e malattie. È solo un effetto della trasformaz­ione digitale: quest’articolo è stato scritto in treno, rientrando a Milano: il pc era nello zaino, perché aspettare? La rivoluzion­e in atto ha scosso in profondità anche le convinzion­i della Cgil, che propone un «piano regolatore» per governare l’invadenza delle app, con l’effetto di richiamare alla memoria Mogol e Battisti: come può uno scoglio arginare il mare? L’ascesa dell’economia intangibil­e è un fenomeno ben spiegato da Jonathan Haskel e Stian Westlake nel volume Capitalism­o senza capitale (Franco Angeli): gli investimen­ti in beni intangibil­i sono maggiori di quanto, nei Paesi avanzati, si destina a macchinari, edifici e computer. Tentare una regolament­azione è saggio, tornare indietro impossibil­e.

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