Un deb esperto per il Requiem
Oleg Caetani guida per la prima volta la Verdi nella Messa del Bussetano
«Ho diretto il Requiem di Verdi in tutto il mondo e sognavo di suonarlo con l’orchestra Verdi, visto che in Auditorium avevo già affrontato la Nona di Beethoven per Capodanno. Però era tradizione che a interpretare il Requiem nella settimana dei Santi e dei Morti fossero i direttori principali dell’orchestra: Riccardo Chailly, Xian Zhang... Quando questa tradizione s’è interrotta non ho esitato a chiedere e finalmente eccoci».
Ha l’entusiasmo di un debuttante Oleg Caetani, nonostante stasera festeggi, oltre a un sogno lungamente cullato e finalmente esaudito, i vent’anni di collaborazione con la Verdi; venti stagioni in ognuna delle quali ha affrontato tre diversi programmi: «Mi aveva chiamato l’attuale sovrintendente della Scala Alexander Pereira, che all’epoca collaborava con Luigi Corbani nella programmazione della neonata orchestra. Il debutto nel 1999, al Teatro Lirico, col concerto per violino di Stravinsky e la sinfonia n.6 di Shostakovine ch»; proprio grazie al compositore pietroburghese Caetani ha firmato con la Verdi un’integrale mai realizzata da un’orchestra italiana: l’incisione delle 15 sinfonie. «Corbani me lo propose il giorno dopo il concerto in Vaticano davanti a papa Benedetto XVI, il 24 aprile 2008; sinceramente pensavo che non se sarebbe fatto nulla, invece è stato un successo; ancora oggi, quando vado a dirigere in Cina e Giappone, molti mi portano le copertine di quei cd da autografare».
Quel debutto si lega anche a un capitolo importante della storia personale di Caetani: «Il 1° maggio ero convolato a nozze e il giorno dopo ero in teatro a provare; e siccome un impegno tira l’altro, alla fine la lune di miele è slittata di dieci anni! Ma ne è valsa la pena. Questa orchestra è giovane, entusiasta e perfetta per il Requiem: ha la capacità di cantare, il senso della melodia tipico delle formazioni italiane, ma allo stesso tempo sa essere scattante, nervosa, tesa, come mi ha dimostrato in Shostakovich». Elementi indispensabili per un capolavoro «che tanti considerano l’opera migliore di Verdi, altri invece un oratorio; penso che la verità stia in mezzo: il retaggio del teatro è palpabile, il “Dies irae” è una tempesta travolgente, echeggia le tempeste di “Rigoletto”, “Otello” e “La battaglia di Legnano”; ma allo stesso tempo Verdi non caratterizza le voci come personaggi di una scena, le scolpisce astratte, timbri diversi per un’unica, personale preghiera; anche le fughe esprimono un’impronta spirituale insolita rispetto al linguaggio lirico verdiano».