Corriere della Sera (Milano)

BULLI E VITTIME SENZA ETÀ

- Di Paolo Di Stefano

Un ragazzo viene preso di mira da una gang di ventenni brianzoli. Il suo torto è la timidezza. Non contenti di tormentare il coetaneo, i bulli (vigliacchi) se la prendono anche con suo padre, perché ha avuto l’impudenza di chiedere loro le ragioni della persecuzio­ne. Ne nasce una lite tra genitori, poi l’inseguimen­to in auto da parte dei bulli, che con un pugno procurano all’uomo una frattura multipla in faccia. È quanto veniva raccontato ieri su queste pagine. Non sono passate due settimane da quando una classe di un istituto superiore di Vimercate ha mandato all’ospedale la professore­ssa di italiano: abbassate le tapparelle, è partito un lancio di oggetti e tra gli oggetti che volavano al buio una sedia è andata a colpire la spalla dell’insegnante. La parola «bullizzare» da qualche anno è entrata nel vocabolari­o della lingua italiana: è la prepotenza (vigliacca) nei confronti di una persona percepita come diversa o più debole. Ieri si è saputo che a Ravenna un undicenne è stato minacciato con un coltello puntato alla gola da quattro compagni ovviamente più grandi. Anche quando sono i genitori a subire, è difficile sfuggire all’idea che l’ambiente familiare sia estraneo all’aggressivi­tà e alla vigliacche­ria con cui tanti giovani affrontano la vita sociale. Qualcuno sostiene che l’educazione (civica e non solo) dovrebbe tornare nei programmi scolastici. Giusto. Purché per un’ora alla settimana sui banchi di scuola, con i figli, prendano posto anche i genitori (quelli che fomentano e quelli che subiscono).

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