Corriere della Sera (Milano)

Abdullah Ibrahim Il suo Sudafrica

- Fabrizio Guglielmin­i

Da molti anni l’84enne pianista Abdullah Ibrahim, sul palco della Triennale per Jazzmi (v.le Alemagna 6, ore 21, ingr. 28/32), è uno dei personaggi-simbolo del Sudafrica. L’autore di «Mannenberg», una brano-inno in favore della libertà per i neri, restò in esilio per oltre vent’anni durante la tremenda epoca dell’apartheid e fu Mandela a riaccoglie­rlo in patria dopo la fine del regime. Dagli Stati Uniti continuò a creare musica utilizzand­o le atmosfere della tradizione (i generi marabi e mbaqanga) in una sintesi pianistica che ricorda a tratti Monk, per le soluzioni armoniche, ed Ellington per il senso della cantabilit­à. Il concerto è ricco di memorie capaci di evocare le vite nelle township (i ghetti creati dai bianchi per la popolazion­e di colore), echi di classica europea e melodie che ricordano il «ritorno a casa» che fu possibile con l’ascesa di Mandela alla carica di presidente. Oggi Ibrahim è uno degli ultimi esecutori di una peculiare forma di jazz sudafrican­o creato negli anni ‘50 e ‘60, un linguaggio che ha fra i suoi nomi storici il trombettis­ta Hugh Masekela (scomparso quest’anno), «Kippie» Moeketsi e i Jazz Epistles. In scaletta anche brani tratti dal disco «The Song is My Story» fra cui «Kalahari Pleiades», brano che riporta il solista al suo pianismo più percussivo.

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Amico di Mandela Abdullah Ibrahim

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