La piazza di San Siro Mitra, risse e cocaina
Tremila euro a sera per gli spacciatori
Cocaina, mitra e risse. Con l’inchiesta «Miracolo», partita a metà del 2017, la sezione «Narcotici» della Squadra mobile ha smantellato la piazza di spaccio di San Siro (per quanto riguarda i distributori italiani). Ieri sono state arrestate 18 persone, dopo le altre 29 all’inizio dello scorso ottobre, implicate nello spaccio e nell’importazione di cocaina. I «ragazzi di San Siro» guadagnavano anche 3 mila euro a testa a sera, grazie a un mercato ampio del quale facevano persino fatica a soddisfare la domanda, che spaziava dai trans ai vip. Il traffico si sviluppava tra Milano (zona Nordovest) e il Costa Rica.
I ragazzi di San Siro spacciavano al travont, una transessuale di viale Certosa che acquistava talmente tanta cocaina da essersi assicurata il servizio di consegna a domicilio. Ma avevano anche il loro «emissario» (in realtà poco affidabile coi pagamenti) che lavorava in un ricercato ristorante giapponese di via Solferino e serviva clienti più altolocati (nelle intercettazioni si parla di «calciatori»). Che Milano sia metropoli di coca trasversale, di consumi che hanno sballato qualsiasi argine d’età, posizione sociale e quartiere, è fatto risaputo: scorrendo gli atti dell’indagine che ha smantellato la piazza di spaccio di San Siro (quanto meno per il versante dei distributori italiani) è possibile però farsi un’idea di quale sia il Pil di queste medie imprese di malavita di quartiere. La sera dell’11 agosto 2017, con la città svuotata dalle vacanze, intorno alle 23 Claudio Lo Surdo e Carmelo Scalzo fanno un po’ i conti della giornata: «Sono 1.650 oggi giusto?», «Sì», «Ho 1.900 scusami, poi manca il prof, il pit, karate (incontri ancora da fare, ndr)... con quelli si arriva a 2.400, 2.800». Vuol dire che un solo spacciatore, pur se in bassissima stagione, a metà serata ha già incassato quasi 2 mila euro e conta di chiudere la notte con 3 mila.
I criteri economici sono quelli più efficaci per leggere questa inchiesta in due fasi della «Narcotici» della Squadra mobile che in poco più di un anno ha coperto l’intero quadrante Nordovest della città. Alla base le piccole/medie imprese: quella di Michele Luongo, 36 anni, foggiano, che gravitava tra via Pinerolo, via Novara e i dintorni del «Meazza» (7 associati sui 18 arrestati ieri notte dai poliziotti guidati da Lorenzo Bucossi e Domenico Balsamo). Era la «piazza di San Siro», analoga a quella di Bonola dei fratelli Cilione, smantellata con gli arresti del 2 ottobre scorso. Entrambe avevano un buon fornitore, Domenico Mesiano, 32 anni, che viveva e consegnava la cocaina in Brianza, ma che tutti gli incontri «di lavoro» li teneva nel garage dove lavorava in via Ferrucci, a pochi metri da corso Sempione e dall’Arco della Pace. È il livello del grossista, che a Milano significa una posizione di forza, perché in città il problema della cocaina non è mai venderla, ma semmai il contrario: avere rifornimenti sufficienti per soddisfare tutti i clienti. Da Mesiano i poliziotti (coordinati dal pm Bruna Albertini e dal capo della Dda Alessandra Dolci) sono poi risaliti alla grande logistica internazionale, sequestrando un paio di carichi da oltre 200 chili inviati dal Costa Rica al porto di Livorno.
Il traffico
Carichi dal Centro America, grossisti nei garage ed emissari fra trans e locali vip
Sono tutte reti di criminalità italiana, gruppi «pesanti» nei quartieri, che ogni tanto entrano in rotta. Uno dei «ragazzi di San Siro», Davide Cannone, il 29 settembre 2017 spara alle gambe di Mattia Bertelli, che gli deve 30 mila euro. È la prima «gambizzazione» della «faida di via Creta» (c’è stato un secondo tentato omicidio) e si inserisce in una frattura profonda tra due gruppi di malavita che gravitavano in quella zona tra Bisceglie e via Forze Armate. Da una parte Luongo, Cannone e quelli di San Siro, dall’altra il gruppo del Giambellino. Il primo momento di tensione risale al 2 agosto, quando i poliziotti sentono Cannone che parla al telefono dal mare: «Ti volevo mandare in via Creta, che sono in 50 contro 50, tutti armati. Ho fermato tutto, ho smorzato, ho un esercito a disposizione». E ancora il 2 settembre, altra giornata di violenza: «Qua c’è una rissa della madonna, tutto sporco di sangue sono». Lo schieramento del Giambellino aveva a capo Manolo Recrosio, che quel giorno viene poi arrestato dalle Volanti con un fucile mitragliatore e 48 cartucce.
Distante da questi ambienti rimaneva Antonio Paglia, 48 anni, detto tony sushi perché dipendente di un ristorante di via Solferino. Comprava cocaina da Luongo, ma per tre mesi i poliziotti l’hanno sentito sfuggire alle minacce perché faticava a star dietro ai pagamenti. Nell’ordinanza Paglia viene definito «spacciatore di riferimento di alcuni calciatori». E i suoi fornitori si chiedevano: «Scusa lui lavora con i calciatori... e non ha i soldi da darci?». In un caso lo stesso tony sushi cita un nome molto noto di una delle squadre milanesi, ma durante le indagini non sarebbe stato trovato alcun contatto con giocatori dell’Inter o del Milan.