SE LE DONNE TORNANO IN QUOTA
Dopo che Pisapia, nel 2011, ha strappato a Letizia Moratti la poltrona di sindaco, con l’elezione di Silvia Roggiani a coordinatore metropolitano del Pd una donna torna da protagonista nella politica milanese. Se sia un segnale del risveglio di quel partito (che a livello nazionale mantiene i vertici saldamente in mano a uomini) lo diranno militanti ed elettori. È indubbio però che quel voto rientra in un lento e progressivo risveglio della presenza femminile in città. Due esempi. La Bocconi in due anni ha visto crescere da 8 a 13 la presenza di professori ordinari donne. Elena Cattaneo, scienziata della Statale, è stata scelta dal Presidente della Repubblica come senatrice a vita, quando si è trattato di trovare una persona che degnamente succedesse a Rita Levi Montalcini. Se davvero è cambiata e intende diventare sempre più attrattiva per gli stranieri ed elemento di traino per un Paese in affanno, Milano deve porsi con urgenza il problema della presenza femminile come classe dirigente in tutti i settori e ad ogni livello. E dalla politica devono venire l’esempio e lo stimolo. Non è questione di quote rosa, ma di cambio di mentalità: di rivoluzione culturale. I tempi sono maturi nell’elaborazione del pensiero femminile, negli obiettivi e negli strumenti. Anche qui un esempio: a Torino son state sette donne a portare in piazza decine di migliaia di persone intorno a un argomento politico e socioeconomico, che riguarda anche Milano: la Tav. Non interessa qui la materia specifica.
Di fatto nei modi e nei tempi son stati spiazzati gli uomini che hanno in mano le leve della politica e che evidentemente hanno logiche estranee alla creatività femminile, alla capacità di ascolto e al misto di praticità e lungimiranza delle donne. Che gli uomini magari riconoscono alle colleghe (a parole), salvo poi esserne invidiosi e praticare rivalse e, purtroppo, angherie. Milano, dunque, deve porsi l’obiettivo di investimenti per le donne in termini di classe dirigente, per essere coerente nel riconoscere (non solo verbalmente) quanto le donne già fanno per la città. Sono loro che scandiscono i tempi, tra lavoro (senza distinzione tra chi ha un impiego e chi, stando a casa, svolge un’attività che solo i pregiudizi dicono poco qualificata), scuola e attività collaterali dei figli, trasporti, gestione della casa e dei servizi connessi. E sempre loro sono protagoniste del welfare, nell’individuare soluzioni alle tante problematiche familiari: anziani, tutela della salute, disabilità. Una sfida praticabile e lungimirante per la città: c’è solo da affrontarla.