Museo del Novecento
Da Boccioni a Fontana I disegni della Collezione Ramo raccontano un secolo d’arte
Gli artisti disegnano per tutta la vita e si divertono a farlo. Perché nell’espressione grafica sono liberi di esprimersi, di fermare col tratto la spontaneità di un’idea, di non appiattirsi sui dettami del mercato: il disegno racconta il processo creativo fuori dagli stereotipi. Parte da questi presupposti la mostra «Chi ha paura del disegno? Opere su carta del ‘900 italiano dalla collezione Ramo», che apre stasera al Museo del Novecento: un titolo ironico, per rivendicare anche alla matita la stessa considerazione di cui godono pennello e scalpello. Da vedere 105 fogli di pregio — quasi tutti di autori noti, tra avanguardie e anni ’90 del XX secolo — selezionati all’interno di una raccolta privata milanese, mai vista prima d’ora, che conta 600 pezzi. «Il nome Ramo non è reale. Nasconde l’identità dell’imprenditore Pino Rabolini, fondatore del marchio Pomellato — spiega Irina Zucca Alessandrelli, curatrice sia della collezione che della rassegna —. Persona semplice e schiva, aveva il desiderio di condividere il suo tesoro di carta con il pubblico e per questo aveva preso contatto con il Museo». Mancato lo scorso agosto, Rabolini non ha potuto veder realizzato il suo progetto. Ma sarebbe stato felice perché la sede è ideale: gli autori esposti lungo il percorso museale compaiono anche in mostra creando una sorta di dialogo. «Rabolini voleva che il disegno non fosse arte “di nicchia” ma alla portata di tutti, anche dei bambini. Per questo si è creato appositamente un allestimento allegro, basato sui colori primari». I lavori prescelti non si limitano ai pur infiniti grigi della grafite, ma spaziano tra pastelli e acquerelli suddividendosi in quattro sezioni tematiche, tutte caratterizzate (come il titolo) dal punto interrogativo: Astrattismi?, Figurazioni?, Parole + immagini?, E gli scultori?. «Vogliamo dire così che la produzione grafica va al di là delle schematizzazioni, dei movimenti e delle categorie stilistiche fisse: un autore famoso per le sue opere astratte può avere disegnato in modo realistico e viceversa».
All’inizio ci si muove tra Grazia Varisco e Pino Pascali, Mario Radice e Bruno Munari, Afro e Giacomo Balla. Poi un capolavoro, «Controluce» di Umberto Boccioni, 1910, periodo prefuturista, definito da Rabolini «la Gioconda della collezione». Da qui in poi un interno di Casorati del 1919, un De Chirico collegato ai «Bagni misteriosi» del Sempione, una protesta contadina di Guttuso, un Tancredi multicolor, un nudo dell’outsider Cagnaccio di San Pietro, un ritratto di adolescente di Manlio Rho prima dell’astrazione. Nella terza sezione figurano pezzi da novanta come Manzoni, Boetti, Isgrò, Cavaliere, Barruchello. E per dimostrare che anche gli scultori praticano il disegno in modo eccellente, dandogli straordinaria importanza, ecco due splendidi Wildt, un Fontana con piccoli graffi che anticipano i «Concetti spaziali», tre Melotti, due schizzi di Medardo Rosso, due di Marino Marini. A chiudere l’itinerario in modo giocoso una video animazione di Virgilio Villoresi.