La vita invisibile del ragazzo Isis
Estremista di 22 anni e di «elevatissima pericolosità». Cresciuto e poi tornato in città dove è stato arrestato Impieghi in nero, le moschee, i familiari a Milano. E quattro cambi di residenza in pochi mesi
Nel 2016 viene fermato dai carabinieri per possesso di droga. Due anni dopo lavora in nero come operaio che asfalta le strade e inneggia allo Stato Islamico. Issam Shalabi, 22 anni, è stato arrestato per terrorismo internazionale. È arrivato in Italia nel 2011, quando ha raggiunto la famiglia al quartiere Adriano. Da agosto ad oggi ha cambiato quattro domicili. La radicalizzazione avvenuta in Egitto.
C’è Issam nell’aprile 2016, all’epoca ventenne, che nasconde in casa un grammo di cocaina e 17 di hashish. Quello che mostra segni di squilibrio mentale e che, proprio per questo motivo, viene accompagnato dai carabinieri all’ospedale di Melzo. C’è il ragazzo che, due anni dopo, in agosto, gira tutta Milano su un furgone e lavora in «nero» per tappare le buche e asfaltare le strade della città. È cambiato Issam, in questo lasso di tempo. Sul suo volto da adolescente con i capelli pettinati all’indietro e un velo di peluria in faccia, è cresciuta una barba lunga e nera che contrasta con la testa rasata. I poliziotti della Digos lo osservano di nascosto, il 9 agosto, mentre aspetta la chiamata per andare in cantiere, sotto un albero di piazzale Piola. Lo vedono che ne approfitta per inginocchiarsi e pregare. Perché il 22enne Issam Elsayed Shalabi, negli ultimi tempi, era tornato più volte nel suo Paese, l’Egitto. Ed è lì, secondo gli investigatori dell’antiterrorismo, che ha cominciato la sua guerra personale contro l’Occidente, ascoltando gli audio messaggi dei predicatori d’odio. Dopo essere entrato in contatto con personaggi aderenti al movimento dei Fratelli musulmani, ha sposato la causa dell’Isis, al quale si sarebbe affiliato giurando fedeltà al capo, lo sceicco Abu Bakr Al Baghdadi.
Il giovane è stato arrestato mentre si trovava in un appartamento con altri connazionali, in virtù di un provvedimento restrittivo emesso dal tribunale abruzzese dell’Aquila, con l’accusa di aver fatto propaganda allo «Stato islamico», e istigazione a commettere delitti di terrorismo. Gli investigatori, venuti a conoscenza del processo di radicalizzazione religiosa del ragazzo, sono partiti con gli accertamenti su Issam a gennaio 2018. Il suo ingresso in Italia risale al 2011. La sua destinazione è Milano, dove, in una casa di ringhiera al civico 2 di via Meucci, a due passi dall’incrocio tra via Padova e via Adriano, vivono i genitori
con le due sorelle — più piccole — e uno zio.
Il permesso di soggiorno gli scade nel 2016 e non gli viene rinnovato. Oggi, nella corte abitata da italiani, arabi, e sudamericani, della famiglia di Issam Shalabi, non c’è più traccia. Le donne di casa, infatti, sarebbero tornate in Egitto. La figura del padre — invece — emerge durante una conversazione (inerente un non meglio specificato «sgozzamento di una donna») avuta con il figlio e un terzo uomo e intercettata ai primi di agosto in un appartamento di viale Fulvio Testi 76. Indirizzo che corrisponde a uno dei quattro domicili cambiati dal ragazzo nel giro dei suoi ultimi cento giorni milanesi.
Quando parte l’inchiesta, in realtà, Shalabi è in provincia di Teramo, e lavora come addetto alle pulizie in un fast food (e dove viene soprannominato il jihadista). Cacciato dall’azienda che lo aveva assunto (per fare pulizie da Mc Donald’s) perché «svogliato» sul lavoro, trascorre un parentesi a Cuneo, e torna in città il primo agosto. Inizialmente viene ospitato in viale Fulvio Testi, poi torna dallo zio in via Meucci. Quest’ultimo, però, deve tornare in Egitto e a Issam tocca trovarsi un nuovo posto, stavolta in via Torelli, al civico 5: uno stabile degradato abitato quasi esclusivamente da stranieri. Ma è a un altro indirizzo (non reso noto) che la polizia lo ferma.
Nel suo peregrinare, ovviamente la preghiera è una costante che non può mancare. Gli agenti lo vedono frequentare tre luoghi di culto diversi (non coinvolti nelle accuse): la «Casa della cultura musulmana» di via Padova 144, la «Moschea Mariam», nella stessa strada, e un altro centro islamico in viale Marche 40.
La sua deriva fondamentalistica, in quei giorni, sembra ormai inequivocabile. Il suo aspetto, le frequentazioni di gruppi on line che inneggiano a «Daesh», i suoi discorsi (uno captato in una macelleria di Abbiategrasso dove parla di un attacco suicida).
Una storia la sua, che presenta dei punti comuni con quella di un’altra ragazza di periferia. Fatma Ashraf Shwky Fahmy è egiziana e ha 22 anni, quando viene rimpatriata su ordine del Ministero dell’Interno. Veniva dal Gratosoglio. Era una giovane come altre: capelli raccolti, il velo (quando lo metteva) colorato, e il viso truccato e sorridente. Lo stesso volto che poi avrebbe coperto lasciando libera solo una fessura degli occhi. Aftab Farook, pakistano, era capitano della nazionale di italiana di cricket. Viveva in Italia da 13 anni, con un lavoro a Vignate, prima di essere rimpatriato nel 2016 per gli stessi motivi. Veniva dalla provincia, da Inzago, Giulia Maria Sergio, detta «Fatima». Nel 2014 è partita per la Siria per combattere con i fanatici dell’Isis.Senza più tornare.
Le cure mediche Nel 2016 era stato accompagnato dai carabinieri all’istituto psichiatrico di Melzo