Corriere della Sera (Milano)

Stazionebalera

Ogni venerdì sera nel mezzanino del metrò e nei corridoi del Passante le danze e le musiche dei gruppi sudamerica­ni

- Di Giovanna Maria Fagnani

Iballerini arrivano all’imbrunire, quando il flusso dei pendolari comincia a attenuarsi. Li riconosci dai trolley con le casse e gli zaini da cui escono cappelli e gonnelline abilmente ricamati. Musica e amore per le proprie radici. Basta questo per trasformar­e un «non luogo», come un mezzanino della metropolit­ana o gli immensi corridoi del Passante, in una scuola di ballo improvvisa­ta.

A Porta Venezia, il venerdì sera, si ritrovano fino a otto compagnie di ballo sudamerica­ne. Sono gruppi numerosi, ma in metrò e al primo piano del Passante c’è posto per tutti. Provano per due o tre ore e poi se ne vanno, lasciando tutto in ordine. Ogni tanto arrivano la polizia o gli addetti dell’Atm a mandarli via o a chiedere di abbassare il volume. I pendolari trafelati li ignorano. Ma li apprezzano: con la loro presenza di sera la stazione è più sicura.

I ritmi che escono dalle casse raccontano storie del colonialis­mo in Sudamerica. Il ballo più in voga è «Los Caporales». «È una danza delle Ande Occidental­i — spiega Jorge Rivero, 23 anni presidente della compagnia americana “Caporales San Simon Usa”, nata a Milano nel 2013—. Il ballo racconta degli schiavi e dei loro caporali, per questo si danza con indosso il cappello e stivali con i sonagli, che indicano le catene. E il capo dirige la coreografi­a con in mano una cinghia».

Gli uomini fanno passi acrobatici, le donne movimenti aggraziati. «Poi ci sono le machas, donne che fanno i passi degli uomini — dice Jorge, che a Milano lavora come barista —. Siamo ragazzi fra i 16 e i 32 anni. In Bolivia non conoscevo questo ballo, ho imparato qui. È un’ attività sportiva importante per i giovani, li tiene lontani da passatempi sbagliati, come stare in giro a ubriacarsi».

Il ballo è boliviano, la nazionalit­à dei ballerini è eterogenea. Ma il Perù fa la parte del leone. E così capita che dei ballerini peruviani, come Junior Valdivia, 31 anni e i suoi «Sambos del Socavon», onorino la patrona del folklore boliviano, la Vergine del Socavon di Oruro, dove c’è la statua della Madonna più alta al mondo: circa 51 metri. «Anche noi balliamo il caporales, i costumi li acquistiam­o in Perù — raccontano —. Ballando diffondiam­o le nostre culture. Porta Venezia è il luogo di incontro di tutti i gruppi folklorist­ici di Milano. Noi ci alleniamo qui tre volte a

Evoluzioni settimana, poi facciamo esibizioni nei locali». Junior vive a Pioltello e fa il badante. Fiorella Paredes, 20 anni, si è unita alla compagnia solo cinque mesi fa. «Qui a Milano non conoscevo nessuno. Mi sono avvicinata a loro e mi hanno contagiato con questa passione».

Nel mezzanino di Porta Venezia, invece, la compagnia di ballo più numerosa è la «Fraternida­d cultural Tarpuy»: una ventina di ragazzi dai 14 ai 32 anni. Il loro obiettivo è diverso, spiega il direttore, Josè Luis Mendoza Bautista, 41 anni, che in Perù insegnava danza e ora fa il corriere: «Noi tramandiam­o i balli peruviani di sierra, costa e selva, come l’”asjkata pallaychis”, facendo esibizioni e sfilate. A Milano la vita scorre frenetica tra lavoro e impegni e spesso le nostre famiglie sono lontane. Questo è un passatempo gioioso ed è l’unico modo per non perdere le nostre tradizioni».

Sono ormai le 20 e si vedono avvicinars­i gli addetti dell’Atm: il mezzanino deve chiudere, le prove sono finite. «Appuntamen­to a domani»

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(Furlan / LaPresse) Movenze, costumi e attrezzi di scena dei gruppi folklorist­ici in azione nella Milano sotterrane­a

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