Fondi alla Dote merito
Stanziati 600 mila euro extra
Un omaggio a don Gino Rigoldi nelle vesti di «padre». È questo, in fondo, il senso del film girato dal regista Fabio Martina sul prete di strada più amato e noto di Milano. «Uno splendido ottantenne», direbbe Nanni Moretti («ho solo 79 anni e non intendo andare in pensione», mette le mani avanti lui).
Per la prima volta lo storico cappellano del Beccaria si mostra lontano dagli usuali ambienti e si lascia riprendere durante una vacanza a Sant’Antioco, in Sardegna, con i suoi «figli», i ragazzi di comunità e del carcere. «L’estate di Gino», che verrà presentato il 6 dicembre allo Spazio Oberdan, è un alternarsi di scene commoventi, profonde e silenziose, e scene buffe, nella quotidianità che la macchina da presa insegue. «I ragazzi, fuori dal contesto grigio del carcere, con le cicale di sottofondo e la bellezza del mare davanti, imparano la vita, si aprono a riflessioni sul loro futuro — anticipa il regista, che aveva reclutato don Gino come “attore” in un cammeo del suo ultimo film, L’assoluto presente —. Non c’è colpa e non c’è giudizio, nella visione del cappellano, ma una fede terrena che porta dritta al sogno di una umanità più giusta, un reciproco dare che non è mai a somma zero».
Sono già 2.000 le domande per la «Dote merito» (libri, strumenti tecnologici ed esperienze formative), in crescita rispetto alle 1.350 del 2017. Per questo, su proposta dell’assessore regionale Melania Rizzoli, la giunta ha stanziato altri 600 mila euro oltre al milione e mezzo già previsto.
La personalità di don Gino, combattiva e autoironica, emerge al di là dell’immagine istituzionale: «Appaio senza veli — scherza lui —. In mutande siamo tutti uguali». È la leggerezza, la sua forza, la chiave con cui riesce ad entrare in sintonia con ragazzi che faticano ad accettare l’autorità. Scena dopo scena fa in modo che guadagnino tasselli di fiducia per il loro futuro. «Faccio come farebbe un padre», ammette semplicemente. C’è la scena in cui borbotta perché un ragazzo gli chiede consiglio sulla maglietta da indossare e poi tanto sceglie «la nera diabolica», quella dove ne rimprovera un altro tornato troppo tardi di notte. E ancora quella dove si tuffa convinto nel mare — pinne e boccaglio — atteggiandosi a sub, peccato che resti («per sicurezza») dove l’acqua è alta appena 50 centimetri.