Costretta all’elemosina dal racket I vigili urbani la tolgono dalla strada
Una 57enne slovacca è riuscita a tornare nel suo Paese grazie all’aiuto di due agenti
MONZA Maria, la chiameremo così, è una donna minuta di 57 anni e nazionalità slovacca. Capelli corti, brizzolati, viso gonfio, abiti sporchi, porgeva un bicchiere di plastica ai passanti. Era il suo modo per chiedere l’elemosina. Si vedeva davanti al Comune, a volte lungo la passerella dei mercanti, sulle rive del Lambro. Di notte la sua «casa» erano i portici di piazza Cambiaghi, ritrovo dei clochard monzesi.
Era nota al Nucleo operativo sicurezza tattica: 12 agenti scelti della Polizia locale che presidiano le aree di degrado. Non si era mai lasciata aiutare, non aveva mai voluto sporgere denuncia nemmeno quando era stata trovata stesa al suolo con il volto tumefatto, i vestiti macchiati di sangue, ecchimosi ovunque. Non parlava italiano e aveva paura di ritorsioni. È rimasta chiusa nel suo mutismo, almeno fino a qualche giorno fa. Ne parliamo al passato perché Maria da qualche giorno non è più a Monza. È tornata a casa sua a Lucenec, ha riabbracciato suo figlio che non vedeva da oltre un anno. Due agenti del Nucleo operativo sicurezza tattica hanno preso a cuore la sua storia, non si sono fermati davanti alla barriera linguistica, sono rimasti in servizio per 17 ore, dalle 6 del mattino alle 23 di sera, fino a quando, alla stazione di Lampugnano, l’hanno salutata attraverso i finestrini dell’autobus che l’ha riportata a casa.
«Le donne come Maria nel gergo del racket sono “carne bianca” — spiega l’agente Erika Sala che con il collega Giuseppantonio Maggi ha soccorso la donna — sono persone fragili che vivono in situazioni di disagio. Sono portate in Italia con la prospettiva di una vita migliore, si ritrovano schiave, costrette alla questua». Le vite di Maria e Tutte le notizia di cronaca, le foto, i video e gli aggiornamenti in tempo reale sul sito internet dell’agente Erika Sala si incrociano alla mattina presto in un bar di piazza Castello, accanto alla stazione. «Maria aveva una bottiglietta in mano, chiedeva nella sua lingua che le fosse riempita. Non ho potuto fare a meno di notare le ecchimosi sul volto, i vestiti sporchi di fango e sangue, sotto i pantaloni indossava un pannolone che chissà da quanto tempo non cambiava. Fino a quel giorno non aveva mai voluto che mi avvicinassi, ma quel mattino era diversa. Evidentemente aveva sopportato troppo a lungo».
Davanti ad una tazza di caffè c’è un primo sorriso di gratitudine. Poi Maria inizia a ripetere, come una litania, parole incomprensibili tra le quali però se ne comprende una ripetuta che suona come «Lucenzia».
Il traduttore on line del cellulare fa il resto. «Abbiamo capito che si trattava del nome della sua città, Lucenec. La sua richiesta di aiuto ora era chiara: “Vi prego aiutatemi a tornare a casa a Lucenec, non so dove sono e come tornare a casa”». La prima tappa di quella lunga giornata è al pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo
Le ore dove la donna viene medicata e ripulita. Poi dimessa. «La nostra prima idea era affidarla ai servizi sociali — racconta l’agente — ma sono bastati pochi momenti con lei per capire che burocrazia sarebbe stata troppo lunga. Così abbiamo forzato le procedure e ci siamo rivolti direttamente al Consolato della Slovacchia a Milano».
L’assistente del console è l’altra protagonista di questa storia. Si attiva subito, raggiunge il comando della polizia locale di Monza e finalmente Maria ha un’interlocutrice: l’assistente del console, che riesce a metterla in contatto telefonico con il figlio. E mentre parla Maria piange di gioia. È il figlio a riferire che la madre era stata convinta, un anno prima, da alcuni personaggi a partire. «Personaggi — sono le parole verbalizzate dagli agenti — che utilizzano soggetti deboli e li convincono a raggiungere paesi comunitari con la promessa di una vita agiata, ma poi li sfruttano per la questua, li abbandonano ad una vita di stenti e di percosse». Una denuncia che ha aperto un’indagine su cui vige il massimo riserbo per capire quante altre persone come Maria stanno cercando aiuto, ma non hanno voce.