«Rifiuti abusivi in fiamme: inviati dal Sud»
Stoccato materiale fuori dalla filiera legale. Ferla, Noe: regia criminale, non mafiosa
Le balle di rifiuti andate a fuoco il 14 ottobre nel deposito di via Chiasserini arrivavano dal Sud. E dal Meridione arrivavano anche le tonnellate di spazzatura trovate nei capannoni sequestrati in queste ultime settimane dai carabinieri del Noe a Cinisello, Cornaredo e Pregnana Milanese. La rotta della «Terra dei fuochi» si è ormai invertita. E se prima erano le aziende del Nord a riempire la Campania, la Calabria e la Sicilia di rifiuti speciali e pericolosi, oggi è il contrario. O meglio, spesso non si tratta di scarti provenienti dalla grande industria ma di normali «rifiuti solidi urbani» non differenziati e destinati ai 13 termovalorizzatori lombardi che smaltiscono il 34% del totale della spazzatura italiana: 190 mila tonnellate «importate» da Lazio, Campania, Puglia e Abruzzo, secondo i dati dell’Ispra. «Il problema è che durante questa filiera i rifiuti finiscono a volte stipati in capannoni che vengono presi in affitto da società di comodo e riempiti fino al soffitto di materiale — spiega il generale Maurizio Ferla, che guida i Carabinieri per la tutela ambientale —. Quando i depositi sono pieni, quando c’è il timore dell’arrivo di un controllo, l’intero deposito viene bruciato con pericoli serissimi per la salute».
Il generale Ferla ha visto il sistema cambiare pelle. Dall’esperienza anticamorra a Napoli negli anni che hanno preceduto l’ascesa dei Casalesi — il clan della Camorra che più di altri s’è occupato di rifiuti — fino all’evoluzione degli ultimi periodi quando il tema delle cosiddette ecomafie è (finalmente) stato riconosciuto in maniera chiara anche dal Codice penale. «Non possiamo più parlare di casi isolati, un capannone non si riempie da solo di rifiuti. Non si tratta di una semplice discarica abusiva ma di un reato che nasconde per forza di cose dietro di sé un’organizzazione. E questo deve essere l’approccio investigativo: indagare sui trafficanti di rifiuti con le stesse metodologie con cui investighiamo sui trafficanti di droga», spiega Ferla. Con una premessa importante: «Quando parliamo di ecomafie non dobbiamo pensare necessariamente alla presenza delle cosche mafiose. Certo, nella filiera possono inserirsi i clan, è evidente, ma non è necessario». In sostanza, quindi, i rifiuti non sono la «nuova cocaina» per gli affari della ‘ndrangheta.
Ieri il generale è stato in visita al comando milanese del Nucleo carabinieri per la salute di Milano di via Pusiano — guidato dal tenente colonnello Massimo Corsano — dove ha incontrato il personale dei Nuclei operativi ecologici di Milano e Brescia. Un incontro al quale ha fatto poi seguito una riunione a Palazzo di Giustizia con il procuratore capo Francesco Greco.
«L’ecomafia è in realtà una forma di criminalità imprenditoriale che si è specializzata nel violare le normative ambientali per arricchirsi», chiarisce Corsano. E anche per questo l’approccio deve essere duplice. Da un lato l’analisi dei flussi finanziari, delle compagini societarie, del ruolo dei cosiddetti colletti bianchi, dall’altro un metodo investigativo simile a quello sulle organizzazioni mafiose. «La legge ci consente di ottenere misure patrimoniali per colpire i trafficanti di rifiuti, esattamente come avviene con i boss — spiega il generale Ferla —. Si tratta di provvedimenti che stiamo adottando per la prima volta, anche perché chi è coinvolto nel traffico spesso ha attività lecite nel settore e quindi dopo aver scontato una condanna o patteggiato una pena, torna ad operare nel mercato legale proprio grazie alle ricchezze accumulate illegalmente. E la riprova è che le persone coinvolte hanno quasi sempre un passato di sanzioni, segnalazioni o precedenti penali di questo tipo».
Per «ripulire» la filiera servono anche altri provvedimenti. Anzitutto — a detta dei vertici dei carabinieri per l’Ambiente — maggiore attenzione alle gare d’appalto sulla gestione della spazzatura, ma anche verifiche continue delle white list antimafia perché i passaggi di soci avvengono in modo rapido. Infine una maggiore presa di coscienza di cittadini e istituzioni: «Se un corpo di polizia locale trova un capannone pieno di rifiuti deve scattare immediatamente il coinvolgimento di investigatori specializzati che faccia scattare il sequestro. Perché altrimenti in poche ore tutto rischia di essere dato alle fiamme».