METAFORE DEL PAESE
Il primo della classe passa il compito, lo studente in difficoltà ringrazia e si impegna a studiare di più. Che alla Scala, il 7 dicembre, con la mondanità, gli abiti lunghi e i banchieri, si parli di scuola e, per metafore, del Paese, non è una sorpresa. Spesso il foyer si è trasformato in un (altro) palcoscenico da cui provare a testare e a spiegare lo stato di salute dell’Italia. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. È nell’applauso corale al presidente Sergio Mattarella, nella Milano che si stringe intorno al capo dello Stato, nelle parole del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli che aggiunge: «È un dovere per un ministro essere qui al Piermarini, a maggior ragione se c’è il presidente della Repubblica». In realtà questa Prima «garbata» — nei toni, nelle toilette delle signore, nelle dichiarazioni dei politici, nei sorrisi degli ospiti stranieri — sembra essere un segnale diretto contro il clima di populismo, un avvertimento indirizzato al governo di Roma che non sempre è stato conciliante con la città ambrosiana. È come se dai palchi e dalla musica del Piermarini arrivasse una richiesta contro ogni forma di barbarie politica. Quella stessa che il sindaco Giuseppe Sala vuole combattere con «il dialogo e la competenza».
Certo è da notare come in un anno siano cambiate le cose. Nel 2017 la Scala «disertata» da Roma riempiva i titoli dei giornali e faceva affiorare nei milanesi un nuovo e ritrovato senso di appartenenza di una città «che festeggia da sola». Nel 2018, in uno dei momenti di maggiore incomprensione — chiamiamola distanza — tra la squadra di Beppe Sala e il governo pentastellato, ecco che i ministri ci sono, Bonisoli in prima fila riconosce l’eccellenza di Milano («la prima della classe»), il presidente è sul palco reale. Rappresenta lo Stato, e Milano gli rende omaggio. Potere della note di Verdi. E della musica in generale, che da sempre è il primo passo per andare incontro all’«altro», per accettarlo, per condividere. La si ascolta insieme. La si ama insieme. Indipendentemente dalla parte politica per la quale il nostro cuore batte. È un terreno di tregua. Una lezione di convivenza: tanto più se a insegnarcelo è il compositore che, almeno sul pentagramma, provò a unire l’Italia.