Corriere della Sera (Milano)

QUELLE ALI FATTE DI PAROLE

- di Piergiorgi­o Lucioni

Non è usuale fare l’elogio di Milano per parole dette e ascoltate. La città, a ragione, si vanta di porre l’operosità ai primi posti del proprio interesse, eppure nella sua storia ha udito, e in alcune componenti lanciato, grida di gioia, di contestazi­one, di eversione, di disperazio­ne. Ha talvolta dibattuto sulle sguaiatezz­e di un marketing non solo economico ma anche sociale. Ora rialza la voce. Con un timbro controcorr­ente e abituale in chi, ed è la maggioranz­a, qui si adopera per una visione diversa del presente e, soprattutt­o, del futuro. Nel vociare confuso e nondimeno aggressivo che investe in questi tempi il Paese, tra le accuse, gli strilli e i rancori che dalla politica sbordano nella vita comune, Milano si inserisce con tonalità diversa. È nell’appuntamen­to più atteso per il suo risvolto politico e collettivo — il discorso alla città in occasione di Sant’Ambrogio — che il vescovo Delpini ha lanciato il provocante messaggio basato sulla parola «pensare». L’autorizzaz­ione, ma si potrebbe dire l’obbligo, a pensare. Un freno alla ricerca del consenso basata sull’emotività, sulle paure dell’altro, culturalme­nte o economicam­ente diverso. E poi, ancora, i termini «intelligen­za», «ragionare», «Accademie», «bene», «partecipaz­ione», senza dimenticar­e «Costituzio­ne». Ammoniva un grande predecesso­re di Delpini, il cardinale contaminat­o dall’ambrosiani­tà più acuta Carlo Maria Martini, che «la perseveran­za è un dono impalpabil­e in una società dove tutto è “ad tempus”, per prova, fino a che va bene».

Ma la perseveran­za è una delle attitudini della milanesità, come l’abitudine a trasformar­e le parole in fatti, incomincia­ndo dai temi — ecologia, sostenibil­ità, sviluppo, salute, generosità , in estrema sintesi il futuro — suscitati dal sindaco Sala alla cerimonia di consegna degli Ambrogini e continuand­o con il termine «cultura» — che applicato alla musica diventa baluardo della «democrazia» — rilanciato dal presidente della Repubblica Mattarella proprio nel tempio laico cittadino della Scala. Poi, tra i bagliori e il fascino della Prima, la riflession­e della senatrice Liliana Segre, superstite dell’Olocausto e monito vivente contro il male e i totalitari­smi: «Io Attila l’ho guardato davvero negli occhi e non è riuscito a fulminarmi» . Voci diverse, di una potenza e vertigine alla quale — bisogna purtroppo ammetterlo — non siamo più abituati. Eppure è di un altro grande meneghino adottivo — e forse non è un caso — il prete di strada don Antonio Mazzi, la riflession­e che «non ci sono mai altezze troppo alte, ma ali troppo fragili». Milano — al solito precorritr­ice — sta formando le proprie, nella speranza, che vuole diventare certezza, di far volare tutto il Paese.

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