Corriere della Sera (Milano)

Mohamed La nuova vita a nove anni

Gli arrivi con i «corridoi umanitari»

- Giovanna Maria Fagnani

Mohamed ha 9 anni e fino a 6 mesi fa non aveva mai avuto una casa. Da undici anni la sua famiglia, fuggita dall’Eritrea, viveva in un campo profughi in Etiopia. E invece ora ha una casa, una scuola e dei compagni di classe. L’altro ieri era sul palco con loro, all’Istituto Maria Ausiliatri­ce di Lecco, a cantare gli inni di Natale davanti ai suoi genitori e fratelli, ma anche alla loro «famiglia tutor», volontari che li accompagna­no in questa nuova vita.

Hadil Adi, siriana, invece, è arrivata in Italia nel dicembre 2016 con il marito e il figlio di 7 anni, dopo aver passato tre anni in Libano, dove erano fuggiti per la guerra. In Siria un missile aveva rischiato di ucciderli, ma in Libano erano senza lavoro e suo marito, ex manager, si era ammalato. Hanno ritrovato la speranza a Milano, al ristorante Fairouz di via Buonarroti. I titolari, Melissa e Isam, le hanno dato lavoro per alcuni mesi e adesso Hadil e la sua famiglia sono ripartiti per l’Olanda. E al posto loro, in cucina, sono arrivati altri due migranti: sorella e fratello, inviati dalla Diaconia Valdese. Hadil e Mohamed sono giunti in Italia attraverso i «corridoi umanitari», un progetto pilota avviato nel 2016 dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazion­e delle Chiese Evangelich­e in Italia e la Tavola Valdese, d’intesa col governo. Un modello di accoglienz­a che concede ai migranti più vulnerabil­i un ingresso legale in Italia con il visto umanitario. Le associazio­ni individuan­o i rifugiati con queste caratteris­tiche nei campi profughi. Poi li portano in Italia, gli trovano casa, iscrivono a scuola i bambini, insegnano l’italiano e aiutano a cercare un lavoro. Lo Stato italiano non concorre al sostentame­nto: è un progetto autofinanz­iato, che ha permesso a 2.200 persone di arrivare in Italia, Belgio, Francia e Andorra. I migranti accolti a Milano e seguiti in città da Caritas e Diaconia Valdese sono circa un’ottantina, soprattutt­o siriani e eritrei. È un’accoglienz­a «di comunità»: a Lecco, prima che arrivasse la famiglia Dunguru Buti, la responsabi­le Caritas, Angela Missaglia, ha perfino partecipat­o a una riunione del condominio in cui sarebbero andati ad abitare. «Viviamo in una società rancorosa perché c’è poca conoscenza» dice.

Diverso il caso dei migranti giunti senza il corridoio umanitario: 2.300 quelli seguiti da Caritas a Milano, fra cui 162 quelli totalmente a carico della diocesi. Col decreto sicurezza, 500 rischiano di ritrovarsi fuori dal sistema. «I corridoi umanitari dimostrano che, organizzan­do l’accoglienz­a in modo razionale si salvano vite, diminuendo gli sbarchi — dice il direttore della Caritas Luciano Gualzetti —. Se si continua a parlare di confini e difesa di interessi, si disgrega una società che invece dovremmo costruire. Il nostro sistema di accoglienz­a va migliorato, ma la soluzione non è farlo crollare, bensì avviare percorsi di integrazio­ne per chi è già qui».

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(Foto S. Egidio) Progetto I piccoli giunti in Italia

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