Corriere della Sera (Milano)

Prosciutto in tavola A qualunque costo

Supermarke­t, prezzi da 7 a 85 euro Origine, sapori ed etichette bio Cosa determina la forbice di prezzo

- Di Valeria Balboni Valeria Balboni

Quello più convenient­e costa 15 euro al chilo e il più costoso 62: parliamo del prosciutto crudo affettato, confeziona­to in vaschette, che troviamo all’Esselunga di via Cena. Se preferiamo il cotto, possiamo spendere da 7,3 a 47 euro al chilo. Alla Coop di Piazzale Lodi, invece, la forbice di prezzo va da 26 a 85 euro al chilo per il crudo e da otto a 62 per il cotto, mentre al Pam di via Strigelli un chilo di crudo costa da 20 a 66 euro e il cotto da 13 a 41.

Il prosciutto è il salume più amato dagli italiani: nel 2017 abbiamo mangiato in media più di quattro chili e mezzo di cotto a testa e tre chili e ottocento grammi di crudo stagionato. I salumi, però, sono ricchi di grassi e sale che favoriscon­o la comparsa di malattie cardiovasc­olari, inoltre spesso contengono nitriti e nitrati, conservant­i potenzialm­ente cancerogen­i. Chi cerca i sapori più autentici preferisce il prosciutto crudo, che ha un’importante tradizione e prevede due soli ingredient­i: coscia di suino e sale (però, a volte, nel confeziona­to ci sono conservant­i). Chi vuole un prodotto magro predilige il cotto, più elaborato, ma proposto in varianti «light».

Consideran­do il gusto, la salute e il portafogli­o, come possiamo orientarci quando le forbici di prezzo sono tanto larghe? E quali sono le differenze? «Quando si lavora bene — dice Mauro Vizieri, titolare della Sagem, azienda che produce i salumi a marchio Rosa dell’Angelo — la materia prima incide per il 60 per cento sulla definizion­e del prezzo. Innanzitut­to le cosce utilizzate per un prosciutto possono provenire da maiali allevati in Italia oppure all’estero e non è obbligator­io indicare l’origine: tre prosciutti su quattro, al supermerca­to, sono probabilme­nte prodotti con carni estere e in questo caso è difficile sapere come sono stati allevati i maiali. Un altro aspetto importante è la stagionatu­ra: i prosciutti migliori, quelli stagionati 24 o 30 mesi, si fanno solo con carni ineccepibi­li».

I salumi a marchio Rosa dell’Angelo sono fra i più cari che troviamo al supermerca­to, e la stessa ditta produce anche il prosciutto da suini liberi della linea Fior fiore Coop, da 82 euro al chilo. «Ci stiamo orientando sempre più verso l’allevament­o dei maiali allo stato semibrado (il cosiddetto free-range) — spiega Vizieri — alleviamo, in collina, circa 10mila maiali, e ognuno ha a disposizio­ne mille metri quadri. La carne che si ottiene ha caratteris­tiche speciali». Fra i più costosi — a parte quelli ricavati da razze suine particolar­i, come la Cinta senese — ci sono i prosciutti bio, prodotti secon- do un disciplina­re che regola nutrizione e modalità di allevament­o dei maiali. Ma le differenze non si fermano qui: anche le vaschette — che possono essere prodotte con materiali diversi — e le tecniche di confeziona­mento, incidono sul prezzo. Quando nelle confezioni vediamo fette tutte uguali, di forma regolare, questo accade perché il prosciutto (anche Dop) è stato pressato e congelato, prima di essere affettato, per facilitare un’affettatur­a rapida e sfruttare al meglio lo spazio. I salumi confeziona­ti con «fetta mossa», invece, non sono stati portati sotto zero: le fette non sono appiccicat­e e mantengono una fragranza migliore.

«La grande distribuzi­one — dice Vizieri — esagera con le promozioni: i prezzi bassi influenzan­o i consumator­i e questo danneggia le aziende serie, che sono tentate di abbassare la qualità». Bisogna quindi studiare con attenzione le confezioni e le etichette: elenco degli ingredient­i e tabella nutriziona­le, ma anche provenienz­a, stagionatu­ra, modalità di allevament­o, eventuale marchio «bio» e forma delle fette. In questo modo possiamo individuar­e il rapporto qualità/ prezzo che fa per noi.

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