L’alchimista casaro di talento
È stato arciere, fotografo, cronista alla Parigi-Dakar e anche mastro birraio Ora Marco Bernini produce formaggi nell’Oltrepo pavese con le muffe delle grotte
Adesso è un casaro alchimista, in giro per l’Oltrepo a caccia di muffe da trasformare in pregiati erborinati. Ma prima Marco Bernini è stato un arciere, fotografo, meccanico e birraio.
Quante vite abbia all’attivo Marco Bernini, 54 anni, è un dato impossibile da stabilire. Due ore di chiacchierata nel suo minuscolo caseificio a Pozzol Groppo, sullo spartiacque tra la val Curone e la valle Staffora, in Oltrepo Pavese, ed è saltato fuori che è stato: un arciere in Kazakistan, fotografo patinato nella Milano da bere, meccanico-cronista alla Parigi-Dakar e mastro birraio da centro sociale. Questo, nel suo passato.
Oggi, invece, si è reinventato casaro alchimista e gira con tamponi e garzette per grotte e boschi, a caccia di muffe da trasformare in pregiati erborinati da far assaggiare ad amici estimatori e agli sceicchi degli Emirati. «Ogni anno arrivano quassù delle auto blindate con casse di datteri che metto a macerare con uva sultanina e cilena per accogliere il mio pouligny rocfort. Lo lamino con polvere d’oro 24 carati, e lo riportano a Dubai». Se non esistesse davvero, questo ragazzone con il furgone Volkswagen rosso degli anni 70, si potrebbe pensare alla fantasia di qualche romanziere hippy. «Milano l’ho lasciata per la campagna. Mi sono trasferito in questo grande cascinale con l’intento di continuare a fare il fotografo di food, ma nel frattempo sono diventato papà di due bambini, Lorenzo e Sofia, e, per sfizio, mi sono comprato un gregge di capre per produrre formaggio».
L’attenzione maniacale ai lieviti e una profonda conoscenza dei processi chimici, retaggio della sua vita da birraio, lo hanno portato a diventare uno dei casari più sovversivi dell’universo dei formaggi. Glielo hanno insegnato i frati trappisti (in quale altra vita, non si sa) che gli starter per la fermentazione partono da lì: «Nella caseificazione ci sono molte tecniche di birrificazione: innesco una muffa che diventerà erborinatura, controllo l’acidità, il ph». La sua passione sono i blue cheese, gli erborinati, i formaggi con le fioriture verdi e blu: «I microorganismi che generano le muffe sono dei miceti che non interferiscono con i batteri lattici, essenziali per la caseificazione, appartenenti al genere Penicillium per produrre il Gorgonzola o il Roquefort». Ma i suoi sono formaggi da «squalifica» perché nati senza seguire troppo le regole della chimica casearia, sperimentando come un fine alchimista i fermenti primordiali «rubati» da cortecce, funghi e radici. «I segreti della caseificazione li ho imparato studiando l’evoluzione di un vasetto di yogurt per tre anni». Mentre Marco maneggia provette e colture di muffe, parla dei suoi formaggi — ne ha inventati 130 tipi diversi — come se stesse raccontando favole visionarie. Sono forme e tome autobiografiche, che ricordano una delle tante sue vite. Ci sono il Blue Mama, una forma d’alpeggio con muffe grigie, per pochi palati: un formaggio sofferto nato da un viaggio in Thailandia; Libero, un formaggio d’alpeggio con cagli inappropriati, dedicato a Cesare, l’amico ed assistente senzatetto fan della Callas; Comandante Yovak, dal cuore duro che si manifesta solo alla fine dell’assaggio, arriva invece dai ricordi del militare: «Quando il comandante mi chiedeva di scrivere al posto suo lettere d’amore alla ragazza che avrebbe poi sposato, perché non conosceva la parola romanticismo». Ora sta lavorando al primo formaggio dedicato ad un comune pavese:«Si chiama Montalto e si mangia in verticale perché all’inizio sa di fontina, ma alla fine di provolone: un viaggio che parte in Valle d’Aosta, e finisce nelle Murge».
Casaro
Ho studiato i segreti della caseificazione esaminando uno yogurt per tre anni
L’ultimo tipo di cacio si mangia in verticale prima sa di fontina poi di provolone