Perle barocche dalla città di Napoli
La Cappella di Antonio Florio al Quartetto
Dopo Vivaldi, Mozart e l’Oratorio di Bach, quest’anno il tradizionale concerto di Natale del Quartetto ha i colori di un presepe napoletano. A osare il paragone è Antonio Florio, che stasera dirige in Conservatorio la sua Cappella Neapolitana e che da decenni raccoglie consensi in tutto il mondo come riscopritore e divulgatore della straordinaria stagione artistica che attraversò Napoli tra Sei e Settecento. «Il museo di Chicago, quando ha acquisito un presepe storico napoletano, ha chiamato noi perché ne accompagnassimo la presentazione al pubblico con una sorta di “colonna sonora” originale», racconta Florio. «E se in Spagna o in Germania il momento forte dell’anno era la Settimana Santa, senza dubbio a Napoli era il Natale a catalizzare la verve creativa dei musicisti. Nasce in quel periodo la Cantata dei Pastori, una sorta di presepe vivente quanto mai variopinto e folcloristico dove alla grotta si incontrano angeli e demoni, pastori e figure pittoresche; anche la musica ha tratti assai marcati, a me ricorda i quadri degli epigoni di Caravaggio, con le loro tinte forti e i tratti evidenti che delineano figure umane concrete, non idealizzate».
Ne è esempio tutta la prima parte del programma odierno, incentrata sulla produzione di Cristoforo Caresana, un veneziano che nel 1659, diciannovenne, si trasferì a Napoli per rimanervi fino alla morte. «Fu lo Strauss del Natale napoletano, vi dedicò una vasta produzione che segnò uno stile e creò un genere. Infatti nella seconda parte, con la cantata di Scarlatti “O di Betlemme al- tera” e il mottetto di Fago “Quid hic statis pastores” vediamo come il genere nel 700 avesse acquisito una forma canonica, con l’alternanza di arie e recitativi. Caresana è più libero e imprevedibile nella forma e più popolare e caratterizzato nella sostanza musicale». Sfogliando il programma, colpisce accanto ad alcune Pastorali la presenza insistita di varie Tarantelle, come quella a due voci «Una dama più fortunata» tratta da «La Veglia»: un tipo di danza che si associa a ritmi sfrenati e non alla magica pacatezza dei brani natalizi. Una dà addirittura il titolo dell’intera opera, «Tarantella per la Nascita del Verbo», da cui Florio attinge il «Choro di doi Angioli: Olà che si fa?». «Ma all’inizio la Pastorale non era quel brano lento e idillico che oggi conosciamo, avendo magari in mente quella del Messiah di Handel o del Concerto di Corelli; aveva il tempo di Andante e veniva interpretato come un “Andate!” perché conteneva l’annuncio ai pastoattorno ri e l’invito a correre alla grotta. Negli anni il suo ritmo divenne il “dodici ottavi”, che è poi diventato il ritmo tipico della tarantella. Quindi qui non dobbiamo aspettarci balli sfrenati con significati demoniaci, ma una danza dei pastori che accolgono lieti l’annuncio degli angeli. La Pastorale come la si intende oggi verrà esemplificata dalla “Ninna nanna a voce sola” tratta da “La Veglia”».
Locandina
In programma musiche di Cristoforo Caresana, Scarlatti, Nicola Fago e alcune Tarantelle