L’altro volto di Chinatown
Dalla riqualificazione alla spinta modaiola del reticolo di negozi Così milanesi e cinesi si sono avvicinati «Ma prezzi alle stelle»
Ex borgo degli ortolani, regno di botteghe artigiane, poi colonizzato dai grossisti cinesi. A otto anni dalla pedonalizzazione cambia di nuovo il volto di Chinatown, vira verso il food. Il Capodanno sta contagiando la città.
Tre metamorfosi in una trentina d’anni. Le hanno vissute via Paolo Sarpi e dintorni, la Chinatown di Milano. L’ex borgo degli ortolani, un tempo ricca di botteghe artigiane, poi colonizzata a inizio Duemila dai grossisti cinesi. A otto anni dalla pedonalizzazione sta cambiando nuovamente pelle, virando verso il food. All’indomani dei risultati di una ricerca Ipsos, che indica i cinesi al terzo posto fra le nazionalità a cui i milanesi si sentono più vicini (dopo filippini e sudamericani), un giro nel quartiere svela quanto siano lontani i tempi delle raccolte di firme contro i grossisti, le proteste per i parcheggi fuori controllo e ancor più quelli della rivolta in strada della comunità cinese nel 2007. Un segno dei tempi è la festa del Capodanno cinese che sta contagiando la città e viene per la prima volta celebrata anche dal Quadrilatero. Nel negozio di Lina Fu, «Party wan», al civico 38 di Paolo Sarpi, si vendono addobbi e portafortuna «e ad acquistarli per la prima volta vedo tanti italiani, non solo negozianti che vogliono abbellire le vetrine. Le comunità davvero si stanno avvicinando». I genitori di Lina avevano un negozio all’ingrosso di alimentari, ma lei lo ha riconvertito e vende palloncini e accessori per le feste: «Tutti cambiano verso il food, io ho fatto il contrario. Non è tutto rose e fiori, prima la gente si lamentava per il carico e scarico delle merci, oggi si lamenta della spazzatura».
Michela Deanesi, designer di gioielli, ha da poco trasferito la sua bottega da via Sarpi a via Bullona: «Amo Chinatown, sarà sempre la mia casa, ma gli affitti hanno subito un rialzo insostenibile. Il pregio del quartiere cinese è che c’è sempre movimento, una donna può rientrare anche a tarda sera da sola, in tutta sicurezza». Sulla pedonalizzazione, i pareri sono discordanti. Hua Hu, per tutti Sonia, 60 anni, rimpiange i tempi in cui passavano auto e bus. «Il nostro bar ne ha risentito molto — spiega — Oggi la maggior parte dei clienti sono persone che vivono qui, ma adesso che sono nati tanti altri bar c’è meno lavoro per tutti». Nel quartiere, infatti, c’è una girandola di insegne. Tra gli ultimi nati, al posto di «Volpe», storico negozio di abbigliamento bimbi, un supermercato dal design ricercato.
«Le nuove attività vengono aperte dalle nuove generazioni di cinesi, che hanno una mentalità molto diversa dai primi commercianti e puntano molto sull’estetica dei locali» sottolinea Alessandro La Banca, 42 anni, titolare di un’agenzia immobiliare e amministratore della social street Paolo Sarpi che, domenica alle 19, promuove un aperitivo alla Biofficina di via Signorelli. «Sono nato e cresciuto qui — racconta — La via sta migliorando. Le strade cambiano però anche in base al lavoro delle agenzie immobiliari sul quartiere». Una zona da migliorare? «Via Bramante, con vari negozi vuoti dopo il trasferimento dei grossisti. Aspettiamo il Museo del Compasso d’oro» che porterà anche una piazza con fontana e negozi. «Il commercio è vita, le città sono sempre nate attorno ai mercati», chiosa Walter Sirtori, che guida la macelleria omonima dal ‘51 in Paolo Sarpi. L’«invasione cinese» non lo ha mai spaventato. «Si capiva subito che era gente che lavorava. Diventeranno una grande risorsa per Milano, anzi lo sono già». Hujian Zhou (detto Agie), 33 anni, laureato in Bocconi, ha aperto una ravioleria accanto al macellaio. Tra i due è nata una collaborazione: «Unirsi è stata una scelta di qualità. Con i clienti paga sempre».