DON GIGI E GLI INTERROGATIVI NEL DRAMMA DI ROGOREDO
Caro Schiavi, vedo sempre più disgregarsi il tessuto educativo che non sorregge come un tempo il nostro lavoro con i ragazzi. È bene domandarsene il perché e tentare qualche inversione di tendenza, in quanto anche noi preti facciamo parte di quelle agenzie educative — famiglia, scuola, sport e oratorio — che stanno perdendo colpi. Mentre faccio questa riflessione penso al dramma legato alla droga che brucia la vita di tanti giovani vicino a noi, a Rogoredo. E mi interrogo: cosa direbbe oggi don Giovanni Bosco? Per esempio di fronte a statistiche come questa: il 72% dei ragazzi tra i 15 e 18 anni ha avuto almeno un’esperienza sessuale, la metà beve abitualmente e 3 su 10 consumano spesso cannabis; le loro abitudini: sesso non protetto e alcol...
Ho letto queste cifre ai miei parrocchiani di Graffignana, nel Lodigiano, a seguito dell’agghiacciante fatto di cronaca riportato dai giornali e dal Corriere in particolare: la segnalazione alla Questura di Milano di ben 60 minori della zona Rogoredo, spacciatori e assuntori con ragazzine disposte a tutto per cinque euro in cambio di roba… Cosa direbbe don Bosco? Lui diceva una cosa importante: bisogna riconoscere in ognuno di questi ragazzi, anche il più ribelle e fuori controllo, «quel punto di accesso al bene su cui lavorare con pazienza e fiducia». C’è una sua frase scritta a caratteri cubitali nel bar del mio oratorio, che a volte ci manda in crisi, ma è molto citata: «L’educazione è cosa del cuore». E poi ce n’è un’altra, ancora più incisiva, che riguarda noi sacerdoti e educatori: «Amate le cose che amano i ragazzi e li avrete in mano». Ci provo, ma è dura. Oggi purtroppo la società della riduzione del danno e la cultura del giorno dopo ci chiedono di seminare con fiducia senza pretendere di vederne i frutti … Dobbiamo invece far fiorire il desiderio nei nostri ragazzi e nei giovani, attraverso una testimonianza incarnata che mostri la bellezza di una vita vissuta con desiderio. Tre parole: atto, fiducia, promessa.
Caro don Gigi, il bosco di Rogoredo è quello che in passato era stato per Cristiane F. lo zoo di Berlino:il supermarket della droga accessibile, un sentiero dei passi perduti. L’eroina e la cocaina hanno scavato un fossato tra noi e questi ragazzi, custodito da criminali spacciatori: l’operazione salvataggio ci riguarda e ci tocca. È un atto di civiltà e di umanità, ma anche di responsabilità. Don Bosco, credo, sarebbe d’accordo. Un’altra volta parleremo dell’emergenza educativa.