Un Molière attuale senza complessità
«Don Giovanni» di Molière nella messinscena di Valerio Binasco è una giovane anima in pena che cerca un senso all’esistenza e pensa di trovarlo in una vitalità smodata. È un essere con una bramosia adolescenziale, sventata, non c’è sfida né a Dio né agli uomini; più del piacere della conquista c’è il gusto del prendere, consumare, gabbare e fuggire. Il Don Giovanni del valente Luca Gobbi, imponente in una sorta di blouson noir, è un personaggio violento e volgare, quasi in piatto, riempito solo dagli accadimenti, il caso e la necessità, e dall’esigenza di soddisfare i propri desideri e bisogni senza mai curarsi dell’altro. Plasma vitale di significati, empio ateo castigato dal Cielo, o volgare materialista, o tenace libertino, o grande libertario, un perverso polimorfo, Don Giovanni di Binasco è un volto che può sicuramente trovare specchio nell’oggi (al Teatro Strehler fino a domenica). Gli attori seguono con bravura il disegno registico, Sganarello, del bravo Sergio Romano, è un mellifluo Sancho Panza, e lo spettacolo prende un senso di viaggio impulsivo e irriflessivo verso una meta che si deve raggiungere. E ci manca la complessità affascinante del libero pensatore che sfida il trascendente e gioca la sua ultima partita che non ha scopi al di fuori del significato stesso della vita. Ma l’oggi non sembra adatto ai liberi pensatori.