«Blue whale» Archiviati tutti i casi di violenza Tranne uno
Il fenomeno web Autolesionismo
Sembrava una epidemia comportamentale, invece in Procura non soltanto non è mai stata contestata l’istigazione al suicidio, ma alla fine sono andati in archivio tutti meno uno i casi di autolesionismo che avevano destato clamore mesi fa sotto l’etichetta controversa «Blue Whale». Quell’uno è andato a giudizio ieri (processo l’11 aprile ordinato dalla gip Anna Magelli su richiesta del pm Cristian Barilli) nei confronti di una 23enne accusata di «atti persecutori» (cioè stalking) e «violenza privata aggravata» per aver spinto sui social media, con un complice minorenne, una alunna di scuola media palermitana di 12 anni a infliggersi tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come gradino iniziale di questo supposto «gioco» di 50 prove di malinteso coraggio.
«Se sei pronta a diventare una balena inciditi “yes” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti»: erano di questo tenore i messaggi che la 12enne, dopo aver cercato in Rete una «curatorlady» o «imcurator» (cioè una sorta di guida) e trovato così le pagine Instagram e Facebook questa 23enne, ne aveva ricevuto per alcuni giorni tra maggio e giugno 2017 gli inviti a procurarsi tagli. L’avvocato Isabella Cacciari, difensore della 23enne indagata, ieri davanti alla giudice Magelli ha invece argomentato la richiesta di dichiarare «il non luogo a procedere», nel presupposto che per la sua assistita negli atti non siano configurabili gli elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, a cominciare dalla mancanza nella vittima di un provocato «perdurante e grave stato di ansia e di paura».