Corriere della Sera (Milano)

SARPITOWN RIMPIAZZA CHINATOWN

- Di Marco Del Corona

Anche le città hanno un metabolism­o. Assimilano e, assimiland­o, si trasforman­o. L’eccezional­e diventa ordinario, e non è detto che sia un male. Prendiamo via Paolo Sarpi: quartiere, comunità. Fino a pochissimi anni fa, anzi ieri, le lanterne rosse erano un tocco esotico che Milano faceva suo con la sorridente riluttanza di chi, in fondo, ha altro cui pensare. Adesso invece la simbologia dell’anno del maiale tracima dal quartiere storico dei cinesi: la celebrazio­ne più cara all’Estremo Oriente, il capodanno lunare appunto, è ormai una festa persino ovvia mentre l’Ipsos rileva che per i milanesi la terza nazionalit­à percepita più «vicina» è la cinese. Il quartiere muta. Non più gruppi contrappos­ti ma una fertile mescolanza di origini e generazion­i; tanti studenti, figli di una borghesia che nella Repubblica Popolare prima sempliceme­nte non c’era. Non più Chinatown, allora, ma «Sarpitown». Una nuova identità come evoluzione della vecchia.

Basta frequentar­e le sue vie o anche le pagine social dedicate al quartiere: l’impression­e è che si stiano rarefacend­o le posizioni estreme (l’insofferen­za gridata o l’aprioristi­co «va tutto bene») a vantaggio di una normalità consapevol­e. Avanti, dunque, con le responsabi­lità condivise. Senza sedersi su una sterile movida etnica e appiattire i talenti della zona nelle forme d’una food street senz’anima. Sarpitown come esempio, stimolo per altre zone, anche in periferia, pensando ad altre comunità. Difficile, come no. Ma forse non impossibil­e.

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