Musica contemporanea
L’ensemble Sentieri Selvaggi nel labirinto di Francesconi «C’è un mistero oltre le apparenze»
Certe opere nascono per caso. «Daedalus», che accanto al «Quatour pour la fin du temps» di Messiaen apre stasera la 22a stagione dei Sentieri Selvaggi, ha avuto origine in un ascensore dalla Scala. «Ero lì per le repliche di Quartett (l’opera commissionatagli dall’allora sovrintendente Lissner, ndr) e Daniel Barenboim, cui era piaciuta molto, incontrandomi in ascensore mi chiese di scrivergli un concerto per pianoforte e orchestra; “non difficile come quello di Berio, ho una certa età” aveva scherzato. Non l’ho ancora fatto, ma nel frattempo mi aveva commissionato un altro brano da suonare alla Pierre Boulez Saal di Berlino; data la location ho deciso di prendere spunto da “Dérive 2” di Boulez: “Daedalus” è nato così». Barenboim l’ha presentato in prima assoluta il 26 gennaio, «un’esperienza fantastica, Daniel ha capito tutto, anzi ha fatto delle correzioni su alcuni metronomi».
A portarlo in Italia è Carlo Boccadoro con i Sentieri Selvaggi, l’ensemble creato nel culto quasi esclusivo della musica moderna e contemporanea. «Una realtà splendida perché non fossilizzata su posizioni aforistiche, ideologiche: non hanno deciso di fare un certo tipo di musica e basta, ma continuano a cercare in tutto il mondo quelle espressioni musicali che comunicano una vitalità umana e una vivacità intellettuale, provengano dal jazz o dal minimalismo». La sottolineatura serve a Francesconi per toccare il cuore del suo brano, che formalmente riassume così: «Ho preso e riformulato un frammento di “Dérive 2” di Boulez, l’ho messo nel labirinto e mi sono divertito a vedere che cosa succedeva. È come se quel frammento cercasse di trovare la strada per uscire da un labirinto, ma incontra ostacoli, si trova in vicoli ciechi, torna indietro; in mezzo c’è un centro di gravità che viene spesso sfiorato. Quando ci si avvicina la forza gravitazionale fa accelerare il ritmo e trasporta all’acuto il motivo musicale, quando ci si allontana c’è un rallentamento e una discesa al grave; quando si arriva in un vicolo cieco e si torna indietro il motivo viene eseguito al contrario».
Per comprendere il perché abbia fatto tutto ciò bisogna allargare la visuale agli ultimi decenni di storia musicale e allo stesso tempo uscire dai confini dall’arte: «Compositori come Boulez reagirono alle macerie della seconda guerra mondiale rifugiandosi nel culto della forma, dove sembrava che bastasse la costruzione intellettuale per assicurare la sostanza e la verità di un’opera. Invece non è così, infatti la Scuola di Darmstadt ha avuto un decennio di epigoni ma oggi non ha lasciato eredi». «Daedalus» ne è la metafora: «Il girovagare della cellula nel labirinto è come il tentativo di risolvere i problemi della realtà con le proprie forze e il proprio intelletto, ma è uno sforzo destinato al fallimento. Non sono credente, ma mi sembra evidente un mistero che c’è oltre l’apparenza delle cose e che metto al centro del labirinto; come il motivo musicale, l’uomo lo sfiora e ne viene attratto, magari anche senza accorgersene, poi se ne allontana inseguendo i propri progetti». Lo vede anche nella società, «dove domina il monoteismo del politically correct e dove nessuno osa andare controcorrente. L’artista dovrebbe almeno suscitare domande, portare a riflettere; io ci provo, con una musica dove c’è un ritmo molto forte e che spero prenda lo stomaco di chi l’ascolta».
Il compositore «L’arte deve suscitare domande. Io ci provo con una pagina che spero prenda il pubblico allo stomaco»