Dall’estero a metà anno: non trovano una scuola Il limbo degli adolescenti
Raggiungono i genitori in città. «Le classi sono sature»
Lahad e Leon. Quattordici anni. Arrivati a Milano subito dopo Natale, rispettivamente da Bangladesh e Perù. Entrambi risiedono nel territorio del Municipio 9. Ed entrambi ancora aspettano, dopo quasi due mesi, di poter andare a scuola. Nessun istituto superiore li accoglie. E nemmeno «regredendo» in terza media trovano posto. I genitori che si presentano per l’iscrizione, vengono ovunque rimbalzati: «Classi piene», si sentono dire dai dirigenti scolastici, stretti tra il rispetto del diritto allo studio e le regole sulla sicurezza nelle aule.
Mika ha già collezionato sette «no», Lahad otto. Nella loro stessa situazione ci sono almeno altri ventidue ragazzini, la loro età è mediamente 14-15 anni, come stima l’Ufficio scolastico territoriale. «Il picco degli arrivi si verifica di solito tra gennaio e febbraio, quando in Asia e America Latina l’anno scolastico finisce e i genitori stranieri residenti in città approfittano per ricongiungersi ai propri figli — spiega Laura Fortina, che segue una ad una tutte le vicende —. Sono bambini e ragazzi che devono, prima di tutto, andare a scuola».
Secondo le stime gli alunni intercettati dagli sportelli che offrono aiuto, e quindi da collocare, sono aumentati: circa 400 nel 2018, 310 nel 2017, 160 nel 2016. Per converso, rispetto al 2015 sono diminuiti i fondi assegnati ai quattro Poli Start che erano stati istituiti proprio per gestire i problema degli alunni stranieri appena arrivati (in gergo, «Nai»). Da 165 mila euro quattro anni fa, i finanziamenti del Comune sono scesi ad 80 mila nel 2016 e da lì sono rimasti stabili — nonostante il carico di lavoro cresciuto soprattutto al Poli Start 4, con sede in via Scialoia. Decine di famiglie si presentano agli sportelli ogni mese, oltre un migliaio di alunni seguono i laboratori linguistici creati a loro misura e strutturati anche per essere incisivi contro la dispersione scolastica. «Il tentativo è fare rimanere i ragazzi nel loro quartiere di residenza per accelerare il loro radicamento in città. Ma dobbiamo anche cercare di distribuirli in modo equilibrato sul territorio». Parola d’ordine: evitare le scuole-ghetto, quelle con percentuali di immigrati più alte delle media cittadina del 20 per cento. In alcuni casi gli stranieri sono addirittura otto o nove su dieci, come per le elementari di via
Domande respinte C’è anche chi è stato rifiutato da otto istituti I problemi: la lingua e l’affollamento in aula
Paravia a San Siro, la Filzi al Corvetto, la Russo verso via Padova o la Maffucci in Bovisa. Il tempo medio per trovare una scuola disponibile è di una settimana. Ma ci sono casi limite in cui l’attesa si allunga e diventano mesi.
«La difficoltà è in particolare per i 14enni. Le superiori talvolta li respingono temendo la frustrazione di una bocciatura, visto che hanno saltato il primo semestre di lezioni e parlano ancora poco italiano. La scelta migliore sarebbe inserirli tra ragazzi della loro età supportando maggiormente le scuole e le famiglie», continua Fortina. Per le scuole di grado inferiore, in particolare le medie, c’è però il problema delle aule già affollate. «Si intuisce che gran parte del fenomeno resta sommerso. Tanti non passano nemmeno da questi uffici».