D’accordo con il fine Ma questo cantiere non rispetta la storia
Gentilissima Senatrice Liliana Segre, le scriviamo a seguito delle sue dichiarazioni a proposito del Giardino dei Giusti di Milano. Con una premessa: l’Olocausto è scritto non solo sulle vittime e sulla pelle dei Grandi Giusti (non pochi) ma anche su quella dei Piccoli Giusti (una schiera vastissima). I Piccoli Giusti non sono meno importanti dei Grandi. Come hanno scritto i figli di Piero Bottoni: «Alle persone meschine e irresponsabili che agitano lo spauracchio dell’antisemitismo vogliamo ricordare che: il progettista del Monte Stella, nostro padre, era figlio di una ebrea (Caterina Levi, livornese) e che sua sorella, Maria Bottoni, segretaria di Ferruccio Parri, è stata internata nel campo di concentramento di Ravensbrück; negli anni del fascismo, la gran parte dei committenti di Piero Bottoni erano ebrei; Piero Bottoni, assistente volontario di Giovanni Muzio al Politecnico, a seguito delle leggi razziali dovette rinunciare all’università». Non è pratica saggia insinuare che essere contrari a un’opera insulsa e devastante significa essere contrari a ciò che con quell’opera si intende celebrare. Ciò che come membri della Direzione scientifica dell’Archivio Piero Bottoni andiamo sostenendo è che il modo scelto da Nissim/Gariwo non è minimamente rispettoso né della storia né del luogo. Di questo e di null’altro si sta discutendo. E su questo e su null’altro si è formata una vasta opinione di cittadini e di uomini di cultura, contrari a ciò che si sta realizzando. Il modo, come lei ben sa, non può essere indifferente allo scopo: «Il Giardino dei Giusti non può essere ingiusto». Il Monte Stella è: il Memoriale di Milano martoriata dalla guerra, «tomba di noster cà» (canzone di Nino Rossi, 1976); un capolavoro dell’architettura del paesaggio, fatto per lo più a mano da centinaia di manovali dei cantieri-scuola guidati da Piero Bottoni che ha seguito l’opera dal 1946 al 1973 (anno della sua morte); un caposaldo urbano, un monumento civile idealmente collegato al Duomo (come sanciva il gesto della Donnina di Milano di Marino Marini trovata da Bottoni negli scantinati della Triennale e da lui fatta collocare sulla collina in costruzione; ora la statua, restaurata, è al Museo della scienza e della tecnica). Il valore di quest’opera fu da subito compreso dal grande Fernand Léger ed è stato riaffermato nel 1972 da Aldo Rossi. Bottoni con il Monte Stella ha costruito un’opera gioiosa, un «antimonumento» perché voleva che fosse un inno alla vita costruito sulle macerie di una tragedia. Bottoni guardava avanti. Ora questa antimonumentalità e questa gioiosità — oseremmo dire «docilità» del Monte Stella — stanno per essere violentate da un’opera retorica, del tutto priva di qualità: un cimitero-mausoleo che pretende di colonizzare l’intero Monte Stella. Dove l’ignoranza apre la strada alla prevaricazione. I Giusti meritano un luogo specifico in una zona centrale della città: un’opera di fondazione. Per esempio, un grande giardino di ciliegi in cui tutti possano riconoscersi: un Giardino a elevata densità simbolica capace di costituire il cuore di un rito e di grande partecipazione collettiva.