Decisivo il ruolo delle famiglie
Zuccotti: ora portiamo i professionisti nei punti nascita
«Le famiglie hanno bisogno di risposte». Le mamme e i papà indecisi sulle vaccinazioni si sono convinti così: parlando con qualcuno che ha saputo sciogliere i loro dubbi. Gian Vincenzo Zuccotti, primario di pediatria e del pronto soccorso pediatrico al Buzzi, spiega che cosa ha fatto aumentare le coperture vaccinali nel 2018.
Professore, per il siero esavalente si tocca quota 95,3 per cento di bambini protetti, 94,2 invece per le iniezioni contro morbillo, parotite, rosolia. Di chi è il merito?
«Sicuramente una grande parte del risultato è dovuta all’introduzione dell’obbligo vaccinale, con la conseguente impossibilità di frequentare l’asilo per chi non è in regola. Siamo riusciti a convincere una fetta di indecisi che aveva saltato alcuni richiami o aveva rimandato le iniezioni. Rimane ancora una piccola quota di no vax, attorno al 3 per cento, ferma sulle proprie posizioni».
Come avete convinto le mamme e i papà ancora dubbiosi?
«Dal 2017 i centri vaccinali non fanno più riferimento alle Ats (ex Asl, ndr), ma agli ospedali. Questo passaggio ha permesso di avere un rapporto più stretto con le famiglie, di aprire un dialogo e ha contribuito alla crescita della percentuale di vaccinati. In più Regione Lombardia ha realizzato e distribuito opuscoli di approfondimento, lanciato una campagna informativa e una app per rispondere a tutte le domande sul tema. È stato fatto anche un video che spiega come le vaccinazioni non siano correlate con l’autismo. Più di tutto però, credo sia stato importante per i genitori trovare persone disponibili al dialogo».
Perché tante resistenze? Le famiglie non si fidano più dei dottori?
«Le esigenze delle persone sono cambiate, non possiamo pensare di rispondere con gli stessi modelli di cinquant’anni fa. In più i genitori non conoscono per esperienza tante malattie ormai quasi sparite, non si rendono conto degli effetti di un loro ritorno. Giustamente vogliono sapere, capire e una fredda lettera spedita a casa non è abbastanza. L’unica via vincente per avvicinare le famiglie è informare, accompagnare».
E i no vax? Sono forse spariti?
«No, rimane una piccola quota che non si convince. Si tratta in genere di persone che rifiutano gli approcci tradizionali della medicina, contrari non solo ai vaccini ma anche ai farmaci. A loro si cerca di spiegare che le medicine vengono prescritte quando il paziente ne ha davvero bisogno».
A Milano la situazione è diversa rispetto alla media lombarda?
«Milano è sempre stata più difficile, per questioni di coordinamento e di organizzazione che invece sono più semplici nel resto del territorio».
Cosa bisogna fare ora per mantenere questi buoni risultati?
«Si potrebbe pensare a un nuovo modello organizzativo: far vaccinare i bambini al di sotto dei due anni nei punti nascita. In questo modo si può entrare in stretto contatto con le mamme fin dalla gravidanza, conoscerle e convincerle al momento delle vaccinazioni. Questa soluzione permetterebbe di mantenere alta la percentuale di copertura anche nel caso in cui venisse abolito l’obbligo. Si potrebbe sperimentare almeno in alcune zone».
Lei vorrebbe invertire il percorso insomma: portare i vaccini alle famiglie.
«Sì, portare i professionisti che hanno già una formazione specifica nei punti nascita. Un metodo rapido e che va incontro alle persone. Non possiamo rimanere fermi. La gente ha bisogno di risposte diverse e noi ci dobbiamo adeguare».
La moral suasion Siamo riusciti a convincere gli indecisi. Oggi i genitori non conoscono la gravità di certe malattie