Corriere della Sera (Milano)

L’uomo che risolve i «cold case» della Prima guerra mondiale «Tengo viva la memoria dei caduti»

I «cold case» risolti da Mario Alberti: archivi, pc e tanta pazienza

- di Riccardo Rosa

MONZA Lui si definisce un «cacciatore di invisibili»: con pazienza certosina, spigolando fra infiniti elenchi di nomi e archivi polverosi, Mario Alberti, 64 anni, residente a Sovico in provincia di Monza, ripercorre le tracce dei dispersi della Prima Guerra Mondiale per individuar­e il luogo esatto in cui sono stati sepolti. In poco più dieci anni, dopo che ha lasciato l’impiego in banca per andare in pensione nel 2008, ogni giorni dedica a questa sua irrefrenab­ile passione ore e ore di ricerca. La sera è il momento migliore, quando la gente dorme e il telefono non squilla. Non ha contato i cold case della Grande Guerra che riuscito a risolvere fino a oggi, ma a occhio e croce dovrebbero essere almeno un centinaio. Forse di più.

Uno degli ultimi è quello di Giuseppe Antonietta, dichiarato disperso quando non aveva ancora 20 anni durante il combattime­nto sul monte Sief, nel cuore delle Dolomiti. «Il punto di partenza delle mie ricerche è sempre l’Albo d’oro dei Caduti dove sono registrati oltre 80 mila nomi — racconta —. Per rintraccia­re i dispersi incrocio i dati con quelli dell’Anagrafe del comune di nascita e con le informazio­ni contenute negli archivi storici e nel ministero della Difesa». Il viaggio nel passato inizia così. Ma se il primo passo è tutto sommato agevole, gli altri lo sono molto meno. Serve la pazienza necessaria per superare le pastoie della burocrazia, ma anche l’intuito di un vero investigat­ore e la voglia di consumare la suola delle scarpe per fare sopralluog­hi nei cimiteri e nei sacrari. I nomi e i cognomi, molto spesso trascritti male durante i giorni caotici che seguirono la fine della guerra, devono essere controllat­i di persona. Oppure capita di imbattersi in lapidi scambiate. Insomma, un vero labirinto all’interno nel quale Alberti riesce a orientarsi grazie all’archivio che si è creato in un pc portatile dal quale non si separa mai.

Di Giuseppe Antonietta, per esempio, dopo la sua morte, non si è saputo più nulla. Ma alla fine di una ricerca durata mesi Alberti è riuscito a scoprire che è sepolto nel Sacrario di Pian di Salesei, nel comune di Livinallon­go Col di Lana, in provincia di Belluno. Fra i casi risolti da Alberti compare anche quello di Augusto Conti, il primo caduto monzese, ritrovato nel cimitero di Santo Stefano di Cadore, dove riposano altri 800 caduti, 40 dei quali ancora senza nome. «La Grande Guerra è diventata la mia passione quando ero bambino grazie ai racconti di alcuni conoscenti che erano stati in battaglia con mio nonno — racconta —. Lui morì nell’agosto del 1918 al passo del Tonale e le ricerche che faccio mi aiutano a tenere viva la sua memoria come quella di tutti gli altri caduti». Come ogni cacciatore, anche Alberti ha dovuto confrontar­si con qualche fallimento: Alfredo Volontieri, tenente del sesto reggimento alpini, morto il giorno di San Valentino del 1916, non avrà mai il giusto riposo. «Nel 1938 i suoi resti furono portati a Caporetto — aggiunge —. Ma lì ho perso le sue tracce, il suo nome non compare su alcuna lapide. Forse è finito in una fossa comune». Roberto Viganò, presidente dell’Associazio­ne Alpini di Monza, non lesina compliment­i. Il prossimo 9 giugno, a Nova Milanese, le 1.400 penne nere brianzole celebreran­no i 90 anni dalla fondazione. I preparativ­i fervono. «Tutto ciò che aiuta a ricordare il sacrificio di migliaia di uomini è importante — commenta —. Il lavoro che svolge Alberti è encomiabil­e».

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 ?? (foto Radaelli) ?? A Monza Mario Alberti, 64 anni, pensionato davanti al monumento ai caduti di Monza. Alberti ha risolto diversi «cold case» della Grande Guerra
(foto Radaelli) A Monza Mario Alberti, 64 anni, pensionato davanti al monumento ai caduti di Monza. Alberti ha risolto diversi «cold case» della Grande Guerra

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